di Carlo Cardia
La prospettiva del pensatore francese coglie un dato essenziale: siamo tutti più liberi, ma anche più soli. E poco educati a esercitare una responsabilità civile
È di notevole interesse, e abbastanza fuori del comune, che Marcel Gauchet veda negli anni ’70 del secolo scorso il luogo della maturità della democrazia in Occidente. La malattia del totalitarismo ha paradossalmente fatto rigenerare il concetto e gli strumenti della democrazia facendo superare i limiti del liberalismo. La democrazia aperta è diventata in Occidente una realtà irreversibile ed ha acquisito un valore universale che deve essere ancora essere percepito appieno.
Sopra gli altri, due elementi sembrano garantire la irreversibilità della democrazia. Il funzionamento automatico dell’economia che emancipa dalle guerre e dalle lotte conosciute nel capitalismo industriale, e l’estensione dei diritti umani che finiscono per coinvolgere e interessare la società civile nel suo complesso. I diritti umani, dice Gauchet, creano una nuova forma di unità delle comunità umane, rovesciano il ruolo della politica, garantiscono a tutte le forze sociali l’accesso al governo della società. Se la democrazia sembra irreversibile, non per ciò può essere considerata eterna. Una crisi è sempre possibile, ed è la crisi di chi è diventato incomparabilmente più libero, rispetto al passato, ma non riesce a far uso di questa libertà. Si intravede, in questa analisi, il ruolo che può essere giocato da una libertà totale e insieme atomistica, che manchi della finalità costruttiva, che isoli la persona umana e la dichiari responsabile del proprio destino senza alcun punto di riferimento. Su questa crisi si innestano le possibilità, e le capacità, di partecipazione delle grandi forze sociali come quelle religiose. La religione e la fede ritrovano un ruolo che alcuni vorrebbero negare soprattutto a livello pubblico. È il ruolo di chi riesce a parlare a uomini liberi che cercano il senso della vita, gli strumenti per fare scelte durature, per appagare bisogni spirituali che aumentano con il crescere della consapevolezza della condizione umana.
Su questo punto Marcel Gauchet fa una osservazione apparentemente sorprendente quando dice che ai cristiani non deve più bastare la testimonianza di valori superiori, e che è necessaria «l’invenzione di un civismo cristiano», perché per la prima volta i cristiani si trovano veramente nella posizione di poter esercitare la responsabilità politica. Essi devono sapere, inoltre, che in una rinnovata presenza nella politica e nella democrazia, troveranno «alleati del tutto inaspettati».
In parte l’analisi di Gauchet riflette quanto sta già avvenendo, ma in parte è essenzialmente prospettica. La democrazia delle procedure rende più liberi, ma più soli, ha tante potenzialità ma non ha un’anima, aumenta i diritti umani ma non prepara gli uomini ad usarli. Si va avanti negli strumenti politici, ma si torna indietro rispetto all’evoluzione umanistica. Di qui la necessità che il cristianesimo riscopra la propria dimensione più autenticamente spirituale ed etica e la proponga agli uomini, anche nella sfera politica perché è lì che ve ne è maggior bisogno. Forse il termine 'civismo’non rende in italiano il pensiero più autentico dello storico francese. La proposta è più ambiziosa e sottile. La trasmissione del consenso si realizzava in passato attraverso le grandi organizzazioni (anche quelle ecclesiastiche), ed era in questo senso ampia, ma in qualche misura corporativa. Oggi, la società civile è più frastagliata e meno dipendente dalle strutture e dalle istituzioni, ma è assai più disponibile e pronta ad ascoltare, a ricercare punti di riferimento che sostengano e spieghino l’esperienza umana nei suoi momenti vitali. La democrazia, vincente sul piano politico e delle regole, è muta sui contenuti, sulle vie da seguire, sulle finalità da perseguire. Spetta ad altri pronunciarsi e attirare gli animi con una capacità di convincimento rinnovata. Resta aperto un punto di discussione. È vero che la coscienza individuale oggi ha bisogno più di ieri di essere interpellata, ed è più pronta a rispondere e a scegliere tra idealità e tra progetti di vita. Ma qualunque aggregazione di consenso tende per sua natura ad riconoscersi in collettività, in istituzioni, in simboli, e il cristianesimo non fa eccezione a questa regola tendenziale.
Mi sembra, però, che la proposta di Gauchet resti forte quando chiede che la democrazia sia capace di favorire l’espressione delle qualità spirituali, etiche e ideali, presenti nel tessuto sociale, perché ad esse si ispirino anche quelle parti della politica che si sono svuotate e impoverite di ogni sostanza.
È di notevole interesse, e abbastanza fuori del comune, che Marcel Gauchet veda negli anni ’70 del secolo scorso il luogo della maturità della democrazia in Occidente. La malattia del totalitarismo ha paradossalmente fatto rigenerare il concetto e gli strumenti della democrazia facendo superare i limiti del liberalismo. La democrazia aperta è diventata in Occidente una realtà irreversibile ed ha acquisito un valore universale che deve essere ancora essere percepito appieno.
Sopra gli altri, due elementi sembrano garantire la irreversibilità della democrazia. Il funzionamento automatico dell’economia che emancipa dalle guerre e dalle lotte conosciute nel capitalismo industriale, e l’estensione dei diritti umani che finiscono per coinvolgere e interessare la società civile nel suo complesso. I diritti umani, dice Gauchet, creano una nuova forma di unità delle comunità umane, rovesciano il ruolo della politica, garantiscono a tutte le forze sociali l’accesso al governo della società. Se la democrazia sembra irreversibile, non per ciò può essere considerata eterna. Una crisi è sempre possibile, ed è la crisi di chi è diventato incomparabilmente più libero, rispetto al passato, ma non riesce a far uso di questa libertà. Si intravede, in questa analisi, il ruolo che può essere giocato da una libertà totale e insieme atomistica, che manchi della finalità costruttiva, che isoli la persona umana e la dichiari responsabile del proprio destino senza alcun punto di riferimento. Su questa crisi si innestano le possibilità, e le capacità, di partecipazione delle grandi forze sociali come quelle religiose. La religione e la fede ritrovano un ruolo che alcuni vorrebbero negare soprattutto a livello pubblico. È il ruolo di chi riesce a parlare a uomini liberi che cercano il senso della vita, gli strumenti per fare scelte durature, per appagare bisogni spirituali che aumentano con il crescere della consapevolezza della condizione umana.
Su questo punto Marcel Gauchet fa una osservazione apparentemente sorprendente quando dice che ai cristiani non deve più bastare la testimonianza di valori superiori, e che è necessaria «l’invenzione di un civismo cristiano», perché per la prima volta i cristiani si trovano veramente nella posizione di poter esercitare la responsabilità politica. Essi devono sapere, inoltre, che in una rinnovata presenza nella politica e nella democrazia, troveranno «alleati del tutto inaspettati».
In parte l’analisi di Gauchet riflette quanto sta già avvenendo, ma in parte è essenzialmente prospettica. La democrazia delle procedure rende più liberi, ma più soli, ha tante potenzialità ma non ha un’anima, aumenta i diritti umani ma non prepara gli uomini ad usarli. Si va avanti negli strumenti politici, ma si torna indietro rispetto all’evoluzione umanistica. Di qui la necessità che il cristianesimo riscopra la propria dimensione più autenticamente spirituale ed etica e la proponga agli uomini, anche nella sfera politica perché è lì che ve ne è maggior bisogno. Forse il termine 'civismo’non rende in italiano il pensiero più autentico dello storico francese. La proposta è più ambiziosa e sottile. La trasmissione del consenso si realizzava in passato attraverso le grandi organizzazioni (anche quelle ecclesiastiche), ed era in questo senso ampia, ma in qualche misura corporativa. Oggi, la società civile è più frastagliata e meno dipendente dalle strutture e dalle istituzioni, ma è assai più disponibile e pronta ad ascoltare, a ricercare punti di riferimento che sostengano e spieghino l’esperienza umana nei suoi momenti vitali. La democrazia, vincente sul piano politico e delle regole, è muta sui contenuti, sulle vie da seguire, sulle finalità da perseguire. Spetta ad altri pronunciarsi e attirare gli animi con una capacità di convincimento rinnovata. Resta aperto un punto di discussione. È vero che la coscienza individuale oggi ha bisogno più di ieri di essere interpellata, ed è più pronta a rispondere e a scegliere tra idealità e tra progetti di vita. Ma qualunque aggregazione di consenso tende per sua natura ad riconoscersi in collettività, in istituzioni, in simboli, e il cristianesimo non fa eccezione a questa regola tendenziale.
Mi sembra, però, che la proposta di Gauchet resti forte quando chiede che la democrazia sia capace di favorire l’espressione delle qualità spirituali, etiche e ideali, presenti nel tessuto sociale, perché ad esse si ispirino anche quelle parti della politica che si sono svuotate e impoverite di ogni sostanza.
«Avvenire» del 24 gennaio 2008
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