04 febbraio 2008

194: da modificare, con realismo

di Dino Boffo
Approfitto di questa lettera per chiarire a tutti quello che, secondo me, dovrebbe essere già chiaro ma che tuttavia conviene ripetere, se non altro per venire incontro a voi più giovani, che tante cose non potete presupporle.
Il Concilio Vaticano II dà una definizione icastica: «L’aborto come l’infanticidio sono abominevoli delitti» (GS.51). Da queste parole evidentemente non si sfugge. Tanto più che oggi, con l’ecografia, davvero non ci sono dubbi che quello che sta dentro la pancia della mamma è un essere appartenente alla specie umana, una creatura come me. Punto.
Parliamo chiaro, per sbrogliare ogni lettura impropria. La legge 194, che il prossimo 22 maggio compie trent’anni, è una legge inaccettabile poiché in casi ben determinati legittima esplicitamente l’uccisione di un essere umano che non perché ancora piccolissimo è meno umano di me. Questo autentico cratere posto al centro di una legge che – ricordiamolo – detta «Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza» finisce per inquinare anche quegli articoli – ad esempio dall’1 al 3 – che vogliono dare attuazione alla prima metà del titolo e che sono mossi da una logica positiva ma pur sempre condizionata dall’obiettivo della norma stessa. Ora, quando si parla in pagine come le nostre di dare una piena attuazione alla 194 non si vuol dire che, presa nel suo insieme, questa legge è positiva. No: si cerca piuttosto di ricordare che nella legge, oltre agli articoli che regolamentano l’atto abortivo, ci sono anche quelli – assai espliciti, sebbene sistematicamente aggirati nella prassi – che ne restringono il campo. E la legge, che resta iniqua per aver consentito un fatto «abominevole», diventa apprezzabile (in senso etimologico) quando afferma che l’interruzione volontaria della gravidanza «non è un mezzo per il controllo delle nascite», né tanto meno per selezionare prima della nascita i figli sani da quelli 'malriusciti'. Lo sterminio durante la gravidanza dei bambini down per effetto delle dilaganti pressioni sulle gestanti per una sempre più invasiva e ansiogena diagnosi prenatale è lì a dimostrare che va fermato l’uso eugenetico dell’aborto, denunciato mesi fa su 'Le Monde' persino da un laico come il presidente del Comitato francese di bioetica Didier Sicard. Chiedere di attuare le parti 'positive' della legge non equivale a un apprezzamento assoluto ma relativo. Piuttosto che un male più grande, meglio, molto meglio un male minore, considerando che la 194 parla di vite umane che vengono soppresse e che invece si possono salvare, una a una se fosse necessario (e lo è). Siccome si ha la percezione che non vi sia ancora una maggioranza disposta a rivedere la legge, mi è fatto obbligo – mentre contribuisco con determinazione e coerenza a preparare condizioni culturali migliori – di cooperare con tutti coloro che ci stanno perché all’aborto non si arrivi per leggerezza, paura o disperazione. Questo significa porsi su quel piano della prevenzione alla scelta di abortire che oggi incontra un’area crescente di consensi.
Quando su 'Avvenire' si legge la frase «non vogliamo cambiare la legge» non si segue tanto quello che si desidera ma si compie un atto di realismo. Solo dei buontemponi o chi ci giudica senza leggerci può equivocare sulla volontà generale che presiede a questo giornale da quand’è nato. Il che spiega anche la nostra disponibilità a cooperare con tutti quelli che, come me, vogliono estendere la persuasione che l’aborto è sempre un fatto terribile. Una convinzione, questa, che prescinde dalla carta d’identità culturale o religiosa di ciascuno e chiama in causa la condivisione profonda di ciò che è umano, razionale, intuitivo. Per questo c’è da essere riconoscenti a Giuliano Ferrara per la generosità con la quale sul 'Foglio' ci aiuta a smascherare ipocrisie e opportunismi culturali all’ombra dei quali ha prosperato la sostanziale accettazione della tragica pratica dell’aborto come «contraccettivo postumo», secondo la denuncia che ne faceva 22 anni fa il filosofo liberale Nicola Abbagnano in una lettera ad 'Avvenire': «In questi casi – aggiungeva, e sono parole che sembrano scritte oggi – non c’è alcuna ragione che lo giustifichi, sicché diventa senz’altro un attentato alla sacralità della vita».
Parliamo, allora, di cose concrete, fattibili, efficaci. Spingiamo insieme lo Stato, le Regioni, gli enti locali, autorità pubbliche ed energie private, chiunque abbia anche solo la chance di aiutare una madre (e un padre) il più delle volte soli, impauriti o male informati ad accogliere il loro bambino: perché chi deve e chi può promuova e sviluppi servizi, iniziative, progetti a ogni livello per evitare che «l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite». Lo prescrive l’articolo 2 della 194, una legge dello Stato che da trent’anni non ci piace perché apre la porta alla soppressione di esseri umani, ma che può essere modificata. A partire dalla sua attuazione troppo spesso aberrante.
«Avvenire» del 13 gennaio 2008

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