30 gennaio 2008

Laici ma intolleranti

Manifesti all’interno della città universitaria «La Sapienza» in segno di contestazione
di Daniele Zappalà
« L’università come luogo di apertura non è minacciata dal sapere reale, fisico, storico o filologico. Ma da una perversione ideologica di questi saperi, oggi spesso di ritorno». È il principale monito valido per tutta l’Europa che il filosofo francese Rémi Brague lancia traendo spunto dagli sconcertanti fatti di Roma.
Professore alla Sorbona di Parigi ma anche a Monaco di Baviera, dove occupa la prestigiosa cattedra intitolata a Romano Guardini, autore di saggi tradotti in tutto il mondo, Brague invita a non abbassare la guardia di fronte ai nuovi estremismi antireligiosi.
Professore, l’ha sorpresa l’esplosione d’intolleranza alla 'Sapienza'?
«Che l’intolleranza miri la Chiesa non mi sorprende. Non la si attacca a causa dei suoi nei, reali – che essa ammette e di cui si rincresce a giusto titolo – o immaginari, ma perché essa rappresenta il bersaglio ideale. Per due ragioni. La prima è superficiale: non si rischia di farsi sgozzare o annientare. La seconda è più profonda: crediamo ancora in modo cieco al progresso e constatiamo che il male non scompare, anzi aumenta. Occorre dunque caricare tutto ciò sulle spalle del passato e trovare un capro espiatorio. Tutte le istituzioni del passato sono scomparse. Tranne due gruppi umani che rivendicano una continuità bimillenaria e che possono essere caricati di ogni crimine: il popolo ebraico e i cristiani. Gli ebrei hanno già pagato, e come! Le Chiese protestanti assumono tutto il passato cristiano, ma chi immagina di rimproverar loro tutto ciò che è avvenuto prima della Riforma? Resta la Chiesa cattolica».
Certi intellettuali atei, come il francese Michel Onfray o gli anglosassoni Richard Dawkins e Christopher Hitchens, rilanciano oggi un anticlericalismo virulento. Un segnale dei tempi?
«Non metterei tutti nello stesso paniere. Fra gli atei militanti, accanto a fenomeni da baraccone, ci sono alcuni autentici intellettuali. E se alcuni si accontentano d’insultare, altri avanzano argomenti, forse deboli, ma che occorrerebbe discutere. Ma il fenomeno più interessante è l’influenza dei più aggressivi fra loro, ben orchestrata dai media, la cui logica propria accentua ancor più il carattere caricaturale delle tesi. Tutto non è spiegato da delusioni personali. Il successo di libri grossolani è spia di un bisogno di odio che è un aspetto dell’odio dell’Occidente, e soprattutto dell’Europa, verso se stesso».
L’ideale di università è associato con l’apertura e la tolleranza. I fatti di Roma, in quest’ottica, appaiono paradossali. Una distorsione legata a laicismo e scientismo?
«L’università è un fenomeno che è nato in Europa e non altrove. Vale la pena ricordare che essa deve la sua esistenza al Papa. Le università medievali erano delle corporazioni che raggruppavano studenti, assistenti e professori, come altre raggruppavano apprendisti, maestri ebanisti, eccetera. Esse poterono sottrarsi alla giurisdizione del vescovo del luogo ponendosi sotto la protezione diretta del vescovo di Roma: è lui il garante dell’autonomia universitaria. Va poi detto che il sapere scientifico è un processo indefinito di approssimazione e di correzione. L’ideologia scientista si crede invece in possesso di un sapere totale e definitivo. Essa immagina soprattutto che la scienza è il solo accesso possibile alla verità. Affermazione che non è più scienza, ma filosofia, e non della migliore qualità».
Gli estremisti di Roma paiono spinti da irrazionalità e paura. L’opposto di quella ragione a cui invita il discorso censurato del Papa. Un Papa che ricorda la forza e la coerenza della ragione fa paura?
«Stalin avrebbe chiesto, durante la guerra: 'Il Papa? Quante divisioni di blindati?' Noi sappiamo bene che non ne ha alcuna. Allora, perché fa paura? Forse proprio perché ricorda la via della ragione alla nostra civiltà. L’università è supposta come la guardiana della ragione e della saggezza. 'La Sapienza' vuol dire questo… Ma essa è ancora fedele a questo compito? Avrebbe per caso già capitolato di fronte alla forza? Non penso soltanto a quelle dell’economia o della politica, pur così reali. Penso soprattutto alla capitolazione volontaria davanti all’opinione secondo cui 'tutto si equivale', dal momento che vi si crede. O davanti ai simulacri di gruppi di pressione liberi di descrivere il mondo o di riscrivere la storia in modo arbitrario».
Dietro gli eventi di Roma, è in gioco anche la democrazia?
«Il Papa doveva parlare alla 'Sapienza' su invito delle autorità legittime di quest’università. Suppongo che esse siano democraticamente elette. Il problema è già interno all’università: imporre le proprie decisioni e non capitolare davanti a qualche agitatore. Se l’università capitola, perché lo Stato, su un’altra scala, dovrebbe far ancora rispettare le sue leggi?».
Queste nuove spie d’intolleranza laicista e scientista sono una novità o richiamano invece fasi storiche precise?
«In Francia come in Italia, si può pensare al XIX secolo della Terza République e del Risorgimento. Allora, lo Stato cercava di contrastare l’influenza del clero sulla società. Ma si trattava anche di una strategia della borghesia per distogliere da sé il malcontento popolare. Si potrebbe anche pensare, in un registro ancora più tragico, al Messico dell’inizio del XX secolo, in cui un regime positivista e anticristiano affogò nel sangue le sollevazioni popolari. Il leninismo e il nazismo volevano entrambi farla finita col cristianesimo. Si consideravano entrambi fondati su una scienza, economica per il primo, biologica per il secondo, storica e sociologica per entrambi. La religione era per entrambi un ostacolo al progresso, sociale per l’uno, razziale per l’altro. Il fatto che si trattasse di pseudoscienze non cambia il fondo del problema. Il fanatismo può pervertire tanto la scienza quanto la religione».
«Avvenire» del 18 gennaio 2008

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