06 novembre 2007

Scagionato Clemente V: non condannò i Templari

Il prefetto dell’Archivio segreto vaticano parla dei documenti da poco scoperti
Di Isabella Bossi Fedrigotti
«Il Papa assolse i cavalieri». A scioglierli fu solo Filippo il Bello
La pergamena che contiene la deposizione davanti ai teologi della Sorbona di Jacques de Molay, gran maestro dell’Ordine del Tempio, poi condannato al rogo, nel processo per eresia che gli era stato intentato su istigazione di Filippo il Bello, deciso a mettere le mani sul ricco patrimonio dei Templari, porta la data dell’ottobre 1307. Esattamente settecento anni dopo, il Vaticano edita un volume che raccoglie la copia anastatica di tutti i documenti riguardanti l’antico e molto discusso processo, alcuni dei quali, come la pergamena di Chinon, ritrovati solo di recente (ritrovati non nel senso che fossero andati perduti, bensì catalogati in modo vago nell’Archivio segreto vaticano, tanto che per secoli sono rimasti separati e in ombra). Pergamena che testimonia senza ombra di dubbio che Clemente V, sia pure Papa avignonese e, per di più, di famiglia francese, cercò di contrastare il progetto assai poco cristiano del re di Francia, assolvendo l’Ordine dall’accusa di eresia e reintegrandolo nei sacramenti. «Absolutionis» si può leggere chiaramente in una delle ultime righe del manoscritto e, subito sotto, «reintegrantes ad Ecclesiam». Processus contra Templarios si chiama il grande volume, in veste preziosissima, di cuoio, di stoffa e pergamena, curato dagli officiali dell’Archivio segreto e stampato in 799 copie (prezzo intorno ai 5 mila euro), per le quali stanno arrivando richieste di acquisto da tutto il mondo, da biblioteche e istituzioni ma anche da collezionisti privati, sceicchi arabi compresi. È il terzo di una serie incominciata nel 2000 con la Bolla d’indizione del primo Giubileo, seguita da un volume dedicato al doge Pasquale Cicogna, che regalò palazzo Gritti a Sisto V. Editore e mente dell’operazione, oltre che autore della prefazione, è monsignor Sergio Pagano, da dieci anni prefetto dell’Archivio segreto vaticano, ma già da trenta al lavoro lungo gli 85 chilometri di documenti che ne formano il corpus, conservati in quattro piani del palazzo apostolico oltre che nel bunker sotterraneo voluto da Paolo VI. Della suggestiva coincidenza delle date tra questa pubblicazione e la deposizione dell’ultimo gran maestro dei Templari non vuole, tuttavia, sentire parlare. «Vede, a noi non compete onorare centenari dei Templari, a noi importa soltanto lo studio della storia. Non c’era nessuna intenzione di celebrare quell’Ordine, così come qualsiasi altro. È un lavoro scientifico, il nostro, non di propaganda. Ovviamente c’è anche un interesse economico perché abbiamo bisogno di fondi non indifferenti per mantenere, curare, restaurare, studiare i documenti più deteriorati dell’Archivio». E pensa che ristabilire la verità storica sul processo e la fine dei Templari possa fermare l’onda lunga dei Dan Brown e di tutti coloro che romanzano e hanno romanzato intorno a questo o altri temi in qualche modo connessi con la Chiesa e la religione? «Neanche per sogno. Non servirà a fermare niente. Forse che non si continua a credere fermamente in maghi e streghe? La gente sembra abbia bisogno di immaginare misteri e dietrologie. E dunque continueranno a fiorire leggende intorno a fatti e personaggi». Ma perché proprio intorno all’Ordine del Tempio è stato ricamato così tanto? «Penso che la leggenda sia nata posteriormente, attorno al XVI secolo, quando si diffuse quella del Graal, con la quale si intrecciò. Come dimostrano i documenti, il processo fu, infatti, pubblico e niente affatto misterioso e i supposti misfatti di cui erano accusati i cavalieri, come i riti di iniziazione sodomiti, vennero confutati. Quanto all’altra grande accusa, lo sputo sulla croce, era una pratica prevista ai tempi delle Crociate, e a chi veniva catturato dai saraceni il gesto di abiura era permesso purché esteriore e non fatto con il cuore, ore, non corde (parole senza convincimento, ndr)». Però le ricchezze dell’Ordine erano reali. «Certamente, altrimenti Filippo il Bello, alla frenetica ricerca di fondi per la guerra contro l’Inghilterra, non avrebbe avuto motivo di mettere in piedi il processo. Probabile che la cassa dei Templari sia cresciuta su beni di famiglia dei cavalieri, su donazioni, forse anche spoliazioni, nonché sulla sua buona amministrazione». Nella lotta tra re e papato quale, in un certo senso, fu il processo, come mai alla fine il re ebbe comunque la meglio, tanto che l’Ordine, decapitato del suo stato maggiore e privato dei suoi mezzi, decadde? «Non bisogna dimenticare che Clemente V non stava a Roma, bensì ad Avignone, non prigioniero ma comunque in stato di soggezione. E può anche essere che temesse il male maggiore, cioè uno scisma. Quanto alla decadenza dei Templari, chi mai poteva esser ancora interessato a fare parte di un Ordine squattrinato e, quel che faceva più paura, in odore di eresia? Se poi tale Ordine sia davvero estinto, non saprei, perché su Internet se ne possono trovare a decine e ciascuno sostiene di essere quello vero». In questo archivio ci sono altri documenti che potrebbero appassionare non soltanto gli storici. «Sono innumerevoli. Abbiamo, per esempio, scritti riguardanti Federico Barbarossa o Federico II, e abbiamo le lettere di Lucrezia Borgia». Anche materiale riguardante Pio XII e il suo rapporto con il regime nazista? «Certamente. Solo che è ancora materiale "chiuso". Finora sono consultabili i documenti che arrivano fino al 1939. Trattandosi di un papato assai lungo, le carte da riordinare e catalogare sono numerosissime. Una volta terminato il lavoro di preparazione, toccherà poi al Papa decretarne l’apertura». Chi ha accesso a questo Archivio? «Chiunque ne abbia il titolo scientifico. Non curiosi, ma studiosi, di tutto il mondo. Ci vuole almeno una laurea insomma. E per gli italiani non basta la triennale, occorre quella quinquennale».
«Corriere della sera» del 31 ottobre 2007

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