Diamo spiegazioni interessate e quindi ininfluenti
di Pio Cerocchi
La crisi di fiducia degli italiani nei confronti della politica, ha molte facce, a partire proprio dalla sua cronologia. Sarebbe ingenuo, infatti, credere che essa nasca solo adesso e che proprio ora si scoprano le antiche piaghe della lentezza e della scarsa trasparenza dell'azione legislativa, per non dire dei costi della politica e dei suoi apparati. La crisi della fiducia degli italiani, dunque, non è cosa di oggi, né è vero che essa nasce solo con Tangentopoli. Le sue origini, infatti, sono molto più antiche e variegate, perché si tratta di sentimenti che sono sorti in tempi distinti negli elettorati delle diverse forze politiche. Così mentre nel mondo delle associazioni e dei nascenti movimenti cattolici, già negli anni "settanta" si consolidava una radicale richiesta di rigenerazione alla Dc, la cui "rappresentanza" era fortemente contestata; quella stessa crisi fu considerata dal blocco della sinistra, non come una iattura, ma piuttosto come un'ottima opportunità per pescarvi quei voti che nel '75 e poi nel '76, portarono il Pci ben al di sopra della soglia del trenta per cento dei consensi elettorali. Ho citato le vicende lontane degli anni Settanta per respingere la brutta consuetudine di accorciare la memoria a seconda delle opportunità. E così come è ridicolo, e si è detto e scritto un po' dappertutto, parlare di «fine della storia», non ha senso farla cominciare da date sempre più prossime al presente. L'accorciamento della memoria e le definizioni arbitrarie delle sue stagioni storiche, infatti, non sono altro che piccole astuzie per occultare i ricordi "scomodi", rafforzando con ciò l'idea illusoria di una "novità" poi contraddetta dai fatti. Tranne rarissime eccezioni, del resto, i protagonisti di queste discussioni mediatiche hanno biografie politiche che affondano le loro radici nell'humus più denso della prima Repubblica, e, almeno per questo, non possono vantare alcuna "innocenza" rispetto ai mali che pubblicamente denunciano. Ma la crisi della politica, pur non nuova, c'è lo stesso, e tutti possono constatarla. Essa non è uno tsunami imprevedibile e disastroso, ma un fenomeno che arriva ai nostri giorni sui tanti fili delle diverse storie dei partiti politici italiani e sulle culture che più delle altre hanno caratterizzato la vita del Paese. Chi volesse indagarle, dunque, scoprirebbe in queste i motivi originari della crisi che oggi si lamenta. Non solo quelli diversi da partito a partito, e da cultura a cultura, ma anche alcuni importanti tratti comuni, che svelano il male profondo della nostra democrazia e cioè, la crisi della rappresentanza. Un problema che il "ceto politico" continua ad aggirare senza mai prenderlo di petto, come, invece, si dovrebbe fare. Non sono passati molti giorni dal Family Day, eppure nessuno tra i politici - al di là dei tentativi più o meno scoperti di appropriarsene - si è domandato sinceramente il perché una così grande e pacifica moltitudine di cittadini, abbia sentito la necessità esprimersi direttamente, senza affidare alcun mandato di rappresentanza. I tempi e i costi della politica, sono aspetti importanti, ma da soli - lo vediamo - non risolvono la questione. La crisi della politica, infatti, non è di efficienza, né può essere superata rispondendo illuministicamente soltanto ad alcuni interessi immediati e materiali, oppure facendo e disfacendo partiti ad ogni piè sospinto. Si deve pensare che molti cittadini hanno conservato idee ed ideali, credendo a ragione che in democrazia, possano e debbano avere una vera rappresentanza. E di questo, credo, i politici oggi dovrebbero preoccuparsi.
«Avvenire» del 23 maggio 2007
Nessun commento:
Posta un commento