17 luglio 2007

«Così il nostro cervello diventa amorale»

Intervista ad Antonio Damasio, il portoghese che dirige il «Brain and Creativity Institute» dell’Università della California del Sud
di Massimo Piattelli Palmarini
Il padre della neuro-etica: nelle scelte le emozioni spingono verso l’utilitarismo
Antonio Damasio, portoghese di origine, neurobiologo, autore di innumerevoli lavori (spesso co-firmati con la moglie Hanna), e di opere di alta divulgazione, benedette da un grande successo internazionale, dopo anni trascorsi all’Università dello Iowa, è ora «David Dornsife Professor of Neuroscience», creatore e direttore dell’istituto per il cervello e la creatività (Brain and Creativity Institute) all’Università della California del Sud a Los Angeles. Le cronache scientifiche, ma non solo quelle, si sono di nuovo occupate di lui nelle scorse settimane, per via di un dato netto e sorprendente, pubblicato su Nature, che riguarda le basi cerebrali delle scelte morali. Basato su un dilemma facile da presentare su uno schermo di computer, ideato dallo psicologo di Harvard Marc Hauser, co-autore di questo studio, Damasio e collaboratori mostrano che i pazienti affetti da danno cerebrale all’area ventro-mediana della corteccia prefrontale effettuano senza dilemmi di sorta scelte morali che sarebbero per tutti noi assai lancinanti, in particolare decidono di dirottare un vagone impazzito su un diverso binario, salvando sei persone, ma uccidendo un innocente malcapitato che si trova per caso sul binario sbagliato. Chiedo a Damasio quale significato attribuisce a questo risultato. «L’articolo - risponde - dà sostegno all’idea che le emozioni giocano un ruolo nelle scelte morali. Specificamente, stabilisce che, quando viene compromesso il processo cerebrale che sostiene le emozioni legate a situazioni collettive, i giudizi che noi formuliamo sui dilemmi etici tendono ad essere più utilitaristi, più radicati in calcoli razionali, meno ispirati da considerazioni umanitarie. Per esempio trascuriamo l’inclinazione a non provocare ad altri danni ingiustificati. Questo risultato non suggerisce certo che tali giudizi a freddo siano anormali, ma solo che non collimano con quanto la maggioranza delle persone ordinarie tende ad approvare e a condividere». Benchè il termine non sia suo, questo lavoro rientra in un nuovo e ascendente settore chiamato «neuro-etica». Gli chiedo come vede, nel complesso, questo settore. «La neuroetica - dice - è un campo piuttosto strano. Un campo ibrido. Da un lato privilegia la ricerca sul cervello, entro i limiti di ciò che è accettabile in scienza, in medicina e in un normale contesto sociale generale. Dall’altro, intende capire meglio le basi neurali del comportamento morale. Il nostro recente articolo su Nature e altre nostre pubblicazioni scientifiche sono centrate proprio su questo aspetto». La sua è una lunga e illustre storia di ricerche sul cervello, e in particolare, in anni recenti, sulle basi cerebrali dei processi di presa di decisione. Cosa lo ha sospinto, in questa carriera? «Sono sempre stato spinto da una curiosità illimitata per la mente umana - racconta -, una curiosità che scaturisce in parti quasi uguali dalla filosofia, la letteratura, il teatro, il cinema e ovviamente la scienza. Ho avuto la fortuna di iniziare la mia carriera scientifica con problemi molto circoscritti, sul linguaggio e la memoria, prima di passare a quelli più vasti e complessi che riguardano le emozioni e le loro basi. Tra tante scoperte e casi clinici diventati dei classici, quali sono oggi, in retrospettiva, per Damasio, i più importanti? «Mia moglie Hanna ed io siamo particolarmente contenti di aver messo in luce l’importanza delle emozioni nella cognizione sociale. Siamo contenti di essere stati, in questo, persistenti, mentre tutti i nostri colleghi suggerivano di lasciar perdere, sostenendo che le ricerche scientifiche sulle emozioni erano un vicolo cieco e non presentavano alcun interesse scientifico. Il campo era forse moribondo, ma non certo privo di interesse e di utilità. Il lavoro che ha portato al mio libro del 1994, "L’errore di Cartesio", ha identificato delle connessioni chiare tra comportamento morale e comportamento economico. Ha resuscitato la neuroscienza delle emozioni ed è stato una scintilla per settori nuovi, come la neuro-economia e la neuro-etica; termini che non siamo stati noi a coniare». Quale incontro, quale maestro, quale influenza scientifica ha più segnato la carriera di Damasio? «E’arduo - aggiunge Damasio - render giustizia a tutti gli incontri che rivestono un ruolo importante nella propria carriera. Retrospettivamente, però, credo che non avrei iniziato a fare quello che sto facendo senza l’influsso esercitato su di me dai lavori pionieristici del grande neurologo e neuropsicologo di Harvard, prematuramente scomparso, Norman Geschwind. Quando poi lo incontrai di persona rimasi avvinto dalla sua mente e dalla sua personalità. E’notevole quanto Norman fosse già allora persuaso dell’importanza di imboccare "la via del cervello", molto prima che venissero sviluppate le tecnologie di indagine non invadenti delle quali oggi disponiamo. Allora non solo non erano disponibili, ma non erano state nemmeno inventate». Cosa c’è dietro l’angolo prossimo delle ricerche? «I nostri prossimi lavori - conclude lo scienziato - sono intimamente legati alle sorti dell’Istituto che ho fondato e che dirigo, l’Istituto del Cervello e della Creatività. Lo scopo è quello di riunire le neuroscienze, le scienze sociali, la filosofia e le scienze umane. Cosa potrebbe essere insieme più semplice e meno ambizioso? Mettendo da parte ogni ironia e ogni falsa modestia, sono convinto che mettere insieme la biologia e l’umanesimo tradizionale offra la sola speranza che abbiamo di definire il nostro posto nell’universo e di offrire a tutti noi un futuro un po’meno desolante».
«Corriere della sera» del 3 luglio 2007

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