16 luglio 2007

Chicago, tolta la cattedra al professore ebreo antisionista

Scontro nella comunità americana: Finkelstein sconfitto da Dershowitz e alleati
di Alessandra Farkas
Persino l’«affare Toaff» impallidisce, al confronto. Dopo un’acrimoniosa guerra durata anni tra Alan Dershowitz e Norman Finkelstein, quest’ultimo è stato costretto a gettare la spugna. Il suo sogno di una cattedra in Scienze politiche alla DePaul University di Chicago, dove insegnava dal 2001, è stato affondato dal suo nemico storico. «È nostra opinione che lei non onori l’obbligo accademico di rispettare e difendere le idee dissenzienti dei suoi colleghi», ha scritto nel rifiutargli l’ambita promozione il Reverendo Dennis Holtschneider, rettore della più grande università cattolica e gesuita degli Stati Uniti. A nulla sono servite le proteste degli studenti, che stanno occupando «a tempo indeterminato» gli uffici del rettore: «Finché non revocherà la sua decisione, illegale e antidemocratica». Nella sua lettera di sfiducia al docente, Holtschneider assicura che «l’enorme attenzione esterna piovuta sulla sua candidatura è stata sgradita e inopportuna ma non ha avuto alcun impatto sulla nostra decisione». Ma il mondo accademico americano non parla d’altro. E cioè di come l’annosa faida senza esclusione di colpi tra Finkelstein e Dershowitz si sia conclusa con una schiacciante vittoria di quest’ultimo. Oltre ad inondare di email anti-Finkelstein i membri della commissione esaminatrice di DePaul, Dershowitz ha pubblicato editoriali di fuoco contro di lui su Wall Street Journal, New York Sun e New Republic. I due si detestano, e in maniera assai pubblica, da anni. Il motivo di tanto odio: Israele. Dershowitz, cattedra di Legge a Harvard e avvocato più famoso d’America, è uno strenuo difensore dello Stato ebraico, le cui ragioni argomenta con passione in The Case for Israel. Finkelstein, figlio di due sopravvissuti - al ghetto di Varsavia la madre Maryla, al ghetto di Varsavia e ad Auschwitz il padre Zacharias - nel 2000 ha scritto L’industria dell’Olocausto, dove accusa alcune organizzazioni ebraiche di avere usato la Shoah come un «racket», per estorcere risarcimenti pecuniari. Nello stesso libro il Nobel Elie Wiesel, scampato allo sterminio nazista e massimo portavoce degli ebrei della diaspora, viene liquidato come «il clown di casa del circo dell’Olocausto» e «un personaggio ridicolo». La risposta di Dershowitz non si è fatta attendere. In numerosi saggi e conferenze, il principe del foro Usa ha attaccato Finkelstein come «un pericoloso antisemita» e «uno che è stato licenziato da tutte le università del Paese per la sua propaganda sfacciatamente nazista», «L’eroe di negazionisti dell’Olocausto come il neonazista Ernst Zundel, oggi rinchiuso in un carcere austriaco». Finkelstein gli ha risposto con un altro libro ad hoc, Beyond Chutzpah, dove accusa Dershowitz di «essere un ciarlatano che copia, anzi ruba, interi brani ad altri autori. E forse - aggiunge - non ha neppure scritto lui questa collezione di bugie, falsificazioni e assurdità». Per demolire The Case for Israel, sostiene poi che esiste un complotto israeliano di cui Dershowitz fa parte «per usare l’Olocausto al fine di opprimere i palestinesi, zittendo le critiche». Per rafforzare la propria tesi, entrambi trascinano l’intellighenzia ebraica sul ring. Dershowitz schiera dalla sua autorevoli storici dell’Olocausto o di Israele come Benny Morris, Daniel Goldhagen, Marc Saperstein. E organizza una campagna, fallita, per convincere il governatore Arnold Schwarzenegger e la University of California Press a bloccare la pubblicazione di Beyond Chutzpah, che definisce «i Protocolli dei Savi Anziani di Sion in versione contemporanea». Finkelstein recluta invece l’amico Noam Chomsky, il guru ebreo della sinistra americana trotzkista e anti-occidentale, che incolpa Dershowitz di aver lanciato una jihad contro Finkelstein «perché ha avuto il coraggio di denunciarti per ciò che sei: un volgare e fraudolento apologeta delle violazioni umane commesse da Israele contro i palestinesi». Alcuni denunciano l’ingerenza esterna di Dershowitz, «senza precedenti nel mondo accademico Usa», scrive il New York Times. In realtà lo stesso Finkelstein sembra pronto ad ammettere la sconfitta, per la prima volta in vita sua. «L’Università non aveva alternativa se non quella di negarmi la cattedra», spiega nel suo sito Web, «Ogni volta che avessi parlato o scritto, la DePaul sarebbe stata bersaglio di altri attacchi isterici che ne avrebbero compromesso la capacità di raccogliere fondi importanti per la sua sopravvivenza». L’ultima parola è spettata però allo storico Peter Novick, considerato la massima autorità in materia di commemorazione dell’Olocausto in Usa, che è sceso in campo per denunciare entrambi: «Finkelstein e Dershowitz si meritano a vicenda», tuona in un’intervista a The Nation.
«Corriere della sera» del 13 giugno 2007

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