04 aprile 2007

Un no al «conformismo progressista»

di Dario Fertilio
«I volantini contestatari di un tempo sono le direttive di governo d’oggi». «La nostra epoca è anche quella in cui tutti dicono la stessa cosa». «Quello che caratterizza il presente è la natura pressoché compulsiva del progresso». Frasi che testimoniano la svolta neo-conservatrice - non meno provocatoria di quelle d’un tempo - del filosofo francese Alain Finkielkraut. L’ingratitudine, da cui è tratto il brano qui sopra, è un libro di conversazione con lo studioso del Quebec Antoine Robitaille (edizioni Excelsior 1881, pagine 224, 17,50), dove ci si propone di definire il rapporto fra passato e presente, nonché il peso delle tradizioni, delle eredità collettive, delle culture nazionali cui apparteniamo. Del resto Finkielkraut, anni fa, aveva già spiazzato molti critici appoggiando le cause nazionali degli sloveni e dei croati contro le pretese egemoniche della Grande Serbia, e ancor prima attaccando frontalmente gli sviluppi della cultura di massa. Questa volta invece difende le ragioni nobili della conservazione contro le parole d’ordine del conformismo progressista, le cui radici affondano secondo lui nell’«individualismo radicale» della contestazione sessantottina. Incapace, quest’ultima, di uscire dal circolo vizioso del ribellismo, della blasfemia obbligatoria, dell’insubordinazione permanente, del culto per gli scandali. Una critica alla «tirannia della maggioranza», e al suo pensiero unico, quella di Finkielkraut, che testimonia forse l’emergere di una nuova sensibilità intellettuale in Europa. Un controcanto a quella ideologia corrente che si proclama invariabilmente dalla parte del «nuovo» e nemica dei «conservatori», e che pretende d’essere sempre in rivolta, ma soltanto contro nemici di comodo.
«Corriere della sera» del 27 marzo 2007

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