Sembrava ovvio, ma solo ora la Costituzione ha preso atto che è la «lingua della Repubblica», il collante della nostra identità. Pur fra tante delizie del folklore
di Gian Luigi Beccaria
E chi lo sapeva! Eravamo in pochi, forse. Non tutti erano a conoscenza del fatto che nella nostra Costituzione non era contemplato l’italiano come lingua ufficiale della nazione! Finalmente, nell’articolo 12 è stata ora inserita la frase che recita: «L’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica». Sembra ovvio. Eppure prima di Natale la precisazione è stata oggetto di disputa. Ha pure prodotto alleanze anomale. Ds, Centro, un po’ di Forza Italia e An erano d’accordo, Rifondazione invece temeva che quella precisazione finisse col rendere obbligatoria la conoscenza della nostra lingua all’extracomunitario che richiedeva la cittadinanza. Anche la Lega diceva no all’aggiunta (certo per motivi completamente diversi), manifestando altre preoccupazioni: temeva che i dialetti e le minoranze venissero schiacciate dalla «prepotenza» della lingua nazionale, temeva addirittura che l’obbligatorietà dell’italiano si configurasse come la rivincita del solito centralismo di Roma padrona, la quale dimenticava ancora una volta di valorizzare idiomi locali e minoranze... Fatto sta che si era deciso di rinviare il voto a dopo le feste, in attesa che questa anomalia di accordi e disaccordi inediti rientrasse. Ed ora è rientrata.
Non è un attentato alle minoranze
Ma resta lo stupore per le dispute vacue. Sappiamo tutti che la nostra lingua di comunicazione e di cultura è l’italiano, diventata ormai, per fortuna, e dopo tanto, la lingua di tutti. Ed è la lingua della scuola, dei tribunali, dei giornali, della Tv, coincide insomma con la nostra vita. Sacrosanta è la tutela, sacrosanto il recupero delle proprie radici, della piccola patria, che s’incarna anche nel dialetto e nella «diversità» linguistica. Ma ormai ci dovremmo riconoscere in questa grande lingua comune che è l’italiano. Il suo effetto aggregante ha molto contribuito in passato al conseguimento dell’unità politica; e per il presente, per quanto giusto sia recuperare tradizioni e specificità, va considerato necessario e doveroso il richiamo alla lingua italiana come lingua «ufficiale» della nazione. È un dato di fatto. La Costituzione ne ha preso atto.
Non si tratta di attentato alle minoranze. Esse sono tutelate per legge (art. 6 della Costituzione). C’è poi la legge del 15 dicembre 1999, num. 482, che contiene in particolare le Norme in materia di tutela, all’art. 2 della stessa sta scritto: «La Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo». L’Italia, si sa, è un mosaico di lingue e dialetti. Gli alloglotti veri e proprii (in genere disposti lungo i confini, o in aree isolate) sono circa il 5% della popolazione. Tra le minoranze neolatine vanno annoverate, oltre al sardo e al friulano, le «franco-provenzali», le «occitane», nel Meridione sopravvivono isole galloitaliche.
Colorito mosaico dai «catalani» ai «walser»
E ci sono minoranze «francesi», e le «ladine» delle valli dolomitiche, disposte attorno al massiccio del Sella, e le «catalane» ad Alghero, e minoranze non neolatine, come le «walser», le «carinziane», le «sudtirolesi» in Alto Adige, le «slovene» lungo la fascia dei nostri confini orientali, e le antiche «croate» del Molise, che risalgono al sec. XIII, le «albanesi» in una cinquantina di paesi centro-meridionali, infine le «greche» del Salento e in tre o quattro paesi della provincia di Reggio Calabria. Ci sono poi «minoranze diffuse» o migranti (lingue zingare, il giudeo-italiano). Un colorito, vivace mosaico, delizia del linguista e del folklore. Ma quel che conta innanzitutto è oggi constatare che da decenni ormai l’italiano esiste come lingua media comune nota e praticata dalla quasi totalità dei parlanti. È un collante che segna fortemente un’identità.
Non è un attentato alle minoranze
Ma resta lo stupore per le dispute vacue. Sappiamo tutti che la nostra lingua di comunicazione e di cultura è l’italiano, diventata ormai, per fortuna, e dopo tanto, la lingua di tutti. Ed è la lingua della scuola, dei tribunali, dei giornali, della Tv, coincide insomma con la nostra vita. Sacrosanta è la tutela, sacrosanto il recupero delle proprie radici, della piccola patria, che s’incarna anche nel dialetto e nella «diversità» linguistica. Ma ormai ci dovremmo riconoscere in questa grande lingua comune che è l’italiano. Il suo effetto aggregante ha molto contribuito in passato al conseguimento dell’unità politica; e per il presente, per quanto giusto sia recuperare tradizioni e specificità, va considerato necessario e doveroso il richiamo alla lingua italiana come lingua «ufficiale» della nazione. È un dato di fatto. La Costituzione ne ha preso atto.
Non si tratta di attentato alle minoranze. Esse sono tutelate per legge (art. 6 della Costituzione). C’è poi la legge del 15 dicembre 1999, num. 482, che contiene in particolare le Norme in materia di tutela, all’art. 2 della stessa sta scritto: «La Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo». L’Italia, si sa, è un mosaico di lingue e dialetti. Gli alloglotti veri e proprii (in genere disposti lungo i confini, o in aree isolate) sono circa il 5% della popolazione. Tra le minoranze neolatine vanno annoverate, oltre al sardo e al friulano, le «franco-provenzali», le «occitane», nel Meridione sopravvivono isole galloitaliche.
Colorito mosaico dai «catalani» ai «walser»
E ci sono minoranze «francesi», e le «ladine» delle valli dolomitiche, disposte attorno al massiccio del Sella, e le «catalane» ad Alghero, e minoranze non neolatine, come le «walser», le «carinziane», le «sudtirolesi» in Alto Adige, le «slovene» lungo la fascia dei nostri confini orientali, e le antiche «croate» del Molise, che risalgono al sec. XIII, le «albanesi» in una cinquantina di paesi centro-meridionali, infine le «greche» del Salento e in tre o quattro paesi della provincia di Reggio Calabria. Ci sono poi «minoranze diffuse» o migranti (lingue zingare, il giudeo-italiano). Un colorito, vivace mosaico, delizia del linguista e del folklore. Ma quel che conta innanzitutto è oggi constatare che da decenni ormai l’italiano esiste come lingua media comune nota e praticata dalla quasi totalità dei parlanti. È un collante che segna fortemente un’identità.
«La Stampa» del 30 marzo 2007
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