04 aprile 2007

Tutti i mezzi per sedurre

La stilistica di Leo Spitzer
di Giorgio De Rienzo
Leo Spitzer fu apprezzato in Italia come uno dei fondatori della critica stilistica, prima che arrivasse l’ondata dello strutturalismo a tradurre idee magari elementari in un discorso complicato. Certo fu tra i maestri più amati da critici letterari (lettori di gusto) del nostro Novecento di mezzo: da Antonio Baldini a Momigliano, fino a Getto. Prima però di dedicarsi agli studi letterari Spitzer si interessò a lungo di stilistica della lingua e scrisse anche (nel 1914) e pubblicò (otto anni più tardi, nel ‘22) un’analisi sulla Lingua italiana del dialogo che solo oggi, curiosamente, viene tradotta da Livia Tonelli per Il Saggiatore (382 pagine, 35), con una breve introduzione di Cesare Segre. I materiali che lo studioso viennese usa nel proprio libro sono per lo più mediocri testi teatrali e lunghi dialoghi in romanzi popolari del nostro Ottocento. Alla base c’è un concetto di nobile retorica del dialogo che parte dall’analisi delle «forme di apertura» per arrivare a quelle di chiusura, attraverso l’esame degli elementi costitutivi del confronto: i punti di vista degli interlocutori (chi parla o ascolta) e la situazione in cui si trovano, nonché l’«economia» o il «dispendio» di parola. L’analisi minuta ha l’obiettivo di ricostruire i «percorsi psicologici che si svolgono durante l’interazione verbale». Perciò le forme linguistiche sono studiate non in quanto «forme grammaticali», ma appunto come «fattori psicologici» o meglio ancora come manovre tattiche di comunicazione per creare - da parte del «parlante» - trame sottili ma efficaci di persuasione (o dissuasione), oppure - da parte di chi ascolta - diversioni, talvolta garbatamente dispettose, per sviare il consenso (o il dissenso) cercato da chi muove le fila del discorso. Il punto d’arrivo nell’analisi di Leo Spitzer non è certo confortante. Gli individui infatti «interagiscono come attraverso un cannocchiale linguistico che, da una parte, ingigantisce il parlante nella stessa misura in cui, dall’altra, rimpicciolisce l’ascoltatore». L’arte del dialogo anche se simula un «principio di collaborazione», ha sempre in sé qualcosa di «coercitivo». È un’intuizione acuta sulla capacità della parola (integrata da gesti ed espressioni) non solo di puntare a cercare o creare consensi, ma anche di sperimentare ed esercitare un vero e proprio potere. Spitzer guarda alla parola pubblica. Non ha a disposizione i materiali orali dei mass media, da cui noi siamo sommersi, si basa, come ho detto, su testi letterari bassi, ma scopre già nei primi decenni del Novecento ciò che ognuno di noi oggi può osservare. S e la sostanza del discorso ha una triste morale, la forma riesce ad alleggerire cattivi pensieri. Farò solo qualche esempio dei tanti che Leo Spitzer propone nel lungo percorso di analisi. Un mezzo per sedurre chi ascolta è quello di cambiare all’improvviso nel discorso il verbo dal presente all’imperfetto. «Il presente è drastico e immutabile, il cambiamento di prospettiva ha lo scopo di far scivolare nella nebbia del passato quanto si sta dicendo». Un’ottima tattica di attenuazione, quando un dialogo può rischiare la rottura. Un’altra tattica per abbattere pericolose barriere da parte di chi parla può essere «l’esortazione» un po’subdola perché chi ascolta provi «a immaginarsi in prima persona un evento». «Ci si comporta come se fosse l’ascoltatore a tenere in mano le redini, anche se, menzionando l’evento e gli oggetti su cui la sua fantasia si deve esercitare, si è già deciso la direzione che ha da prendere». Ma anche chi è oggetto di una cattura intellettuale dispone di mosse o «scappatoie». Può, per esempio, «fingere di non conoscere la risposta» a un ovvio quesito posto da chi parla. Gli è possibile ricorrere a formule sospensive del giudizio («in realtà», «in fin dei conti») da inserire al giusto momento per attenuare o modificare una «verità» imposta che altrimenti dovrebbe subire.
«Corriere della sera» del 19 marzo 2007

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