04 aprile 2007

Dall’aborto ai Dico, sulla figura della donna c’è un pensiero unico

di Lucetta Scaraffia
In Italia sembra esistere un solo femminismo, sempre vigile nella difesa della legge 194 e favorevole a ogni svolta del pensiero progressista: dai Pacs all’ideologia del gender, dalla vendita degli ovociti all’inseminazione eterologa. Negli altri paesi occidentali, invece, i femminismi sono tanti, e talvolta profondamente diversi. Per la Francia, un esempio clamoroso è offerto dall’ultimo libro di Sylviane Agacinski («Engagements», Seuil), nel quale la filosofa affronta due temi di fondo: l’uguaglianza dei due sessi, intesa come uguale possibilità di rappresentare l’umanità, e l’idea che ciascuno è il suo corpo, e che questo corpo non è né uno strumento né una merce. La studiosa francese si contrappone con nettezza all’ipotesi della neutralità sessuale tipica dell’ideologia del gender, correndo consapevolmente il rischio di essere considerata colpevole, come scrive, di «militantismo eterosessuale». Infatti l’autrice sostiene che la parità non si ottiene facendo entrare le donne in una categoria astratta di individuo, ma, al contrario, tenendo conto che il cittadino è sia uomo sia donna. In questo modo la Agacinski respinge come falsa l’opposizione tra universalismo e differenzialismo, e attribuisce alla differenza sessuale quel ruolo di differenza universale tanto criticato, invece, dalle sostenitrici del gender. Del resto, la filosofa sa bene che senza distinzione non è possibile elaborare alcun processo cognitivo. Ma, dal momento che essa opera includendo ed escludendo, mentre rende possibile la cognizione attiva, al tempo stesso, la simmetria e, di conseguenza, la normatività. Il problema che la Agacinski si pone, e che risolve con la concezione di un genere umano che comprende una differenza interna, è quello di accettare la distinzione fra i sessi senza tradurla in un sistema di potere. Non si tratta di una affermazione da poco, se si pensa che tutte le proposte di riconoscimento di diritti alle coppie omosessuali - incluse l’adozione e la procreazione assistita - si fondano sull’idea che la polarità eterosessuale non sia fondante della cultura e della società, ma in sostanza un arbitrio da cancellare. Non stupisce allora la requisitoria della filosofa contro la legalizzazione dell’utero in affitto, «come se la gestazione fosse un lavoro artigianale e il bambino stesso un prodotto fabbricato del quale si può fissare un prezzo». Né meraviglia il fatto che la Agacinski affermi con chiarezza - contro l’opinione di chi sostiene che per fare i genitori è sufficiente l’amore per il figlio - che «le regole della filiazione sono state costruite sulla bilateralità della coppia uomo-donna, e non sui sentimenti che i genitori potevano provare l’uno per l’altro. Non è mai l’amore né il desiderio in quanto tale che spiega la binarietà della coppia di genitori». I ruoli di madre e padre, infatti, non hanno solo una valenza psicologica ma svolgono un’importante funzione simbolica perché definiscono il posto del nuovo nato fra le generazioni e fra i sessi, in sostanza definiscono il suo posto nell’umanità. Attento alle suggestioni di un femminismo critico di matrice anglosassone è invece il libro di Alessandra Nucci (La donna a una dimensione, Marietti), meno approfondito dal punto di vista teorico, ma ricco di informazioni interessanti e poco note in Italia. Una parte importante del volume è infatti dedicata alla dettagliata ricostruzione dell’azione svolta dalle Nazioni Unite per diffondere in tutte le culture del mondo il concetto neutro di gender in sostituzione della polarità maschio-femmina. Interessante è la critica della Nucci al modo in cui viene diffusa, su impulso di una agenzia dell’Onu (la Cedaw), l’educazione sessuale in età molto precoce: un modo che non si limita a lottare contro i tabù, ma punta a «demolire la comune sensibilità», per arrivare a «desensibilizzare i giovani al legame affettivo e spirituale che è insito nei rapporti sessuali», producendo in loro una «maturazione forzata». A riprova di ciò l’autrice cita quanto accadde nel 2002 durante l’assemblea generale sull’infanzia, quando l’Unicef fu accusata di aver finanziato un libro in cui non solo si promuove l’aborto ma si incoraggiano i bambini ad avere relazioni sessuali con omosessuali, con altri minori e con animali. La cultura femminista è insomma più interessante e articolata di quanto appaia se la si vede solo come risorsa politica della sinistra, e dunque fatalmente spinta a un progressismo esasperato. E sono importanti tutte le occasioni che permettono di arricchire il dibattito, sfuggendo al pensiero unico che tende a stendere su questi temi uno spesso velo di conformismo.
«Corriere della sera» del 20 marzo 2007

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