Alla cerimonia di riapertura della Chiesa della Santa Croce si è parlato ancora di «cosiddetto genocidio». E nel Museo di Van una sezione è dedicata ai massacri compiuti dagli armeni
di Marta Ottaviani
Città di origine armena, fiorente per cultura e ricchezza, teatro di una tragedia e, oggi, terra di mezzo fra tentativi di riconciliazione e negazionismo storico. Se c'è un luogo dove la Storia si è scatenata con tutta la sua violenza e dove il destino è stato beffardo è proprio Van.
La riapertura, dopo un lungo restauro, della chiesa armena della Santa Croce sull'isola di Akdamar, nel lago di Van, è stata accolta da tutti come un gesto di distensione nei frapporti fra Ankara ed Erevan. Si tratta di uno dei monumenti armeni più importanti sul suolo turco, dopo la città di Ani, vicino a Kars. La presenza di una delegazione del governo armeno e il fatto che era stato restaurato un luogo sacro a una religione che non era quella musulmana, aveva riacceso la speranza. L'evento era stato anche opportunamente reclamizzato dal governo turco, come gesto di apertura.
Un primo tentativo di dialogo su quello che in Turchia è chiamato «Ermeni Soykirim Iddialari», il «cosiddetto genocidio armeno», e che è considerato dalla comunità internazionale il primo grande massacro del XX secolo. Una tesi che la Turchia non ha mai accettato, negando il numero dei morti (la versione ufficiale dice circa un milione, Ankara al massimo 300mila), negando che si sia trattato di un'eliminazione sistematica della popolazione armena. Di contro, ha accusato alcune potenze europee (soprattutto la Russia) di aver perpretato l'eccidio al suo posto e soprattutto sostiene che all'epoca dei fatti persero la vita anche oltre mezzo milione di turchi.
Storie di odio e dolore, avrebbero dovuto trovare in quell'isola nel lago di Van un nuovo punto di partenza. Il condizionale sembra quanto mai d'obbligo, perché nella stessa località, oltre alla chiesa della Santa Croce, sorge anche un museo, il Museo di Van per la precisione, che ha una sezione intitolata «ai massacri compiuti dagli Armeni». Il suo obiettivo è dimostrare e documentare i massacri compiuti dalle truppe russe e armene nella regione nel 1915. Praticamente un genocidio al contrario. Secondo i dati ufficiali locali, solo nella zona di Van furono sterminati oltre 2500 turchi. Il massacro, sempre secondo la versione, si estese anche ad altre zone dell'Anatolia orientale. I pannelli illustrativi del museo spiegano che sono state trovate fosse comuni con medaglie e rosari di chiara fattura ottomana insieme con proiettili di fabbricazione russa e che questa sarebbe la prova tangibile dell'avvenuto massacro.
Della versione ufficiale, che solo a Van furono 80mila gli armeni sterminati dai turchi e curdi (che a quei tempi combattevano paradossalmente dalla stessa parte), nessuna traccia. Chiesa della riconciliazione contro museo della negazione, insomma.
Ma non solo. Sulla riapertura del luogo di culto sull'isola di Akdamar, che di quell'eccidio è stata imponente testimone, si è addensata più di una nube. È stato riaperto al culto classificato come «museo». Ma, soprattutto, quella consacrata nel X secolo come «Chiesa della Santa Croce», sulla sua sommità la croce non la porta più da tempo. L'argomento in Turchia ha fatto discutere e diviso giornalisti, politici e esperti d'arte. Stando alla versione ufficiale dei restauratori, il simbolo sacro non è stato rimesso sulla cupola perché assente già dalla fine del 1800, ossia da quando l'edificio fu abbandonato.
La polemica non è mancata, anche perché lo stesso Patriarca armeno di Istanbul, Mesrob II, è intervenuto chiedendo con forza che la croce venisse rimessa sulla sommità dell'edificio e che la chiesa potesse ospitare almeno una funzione religiosa all'anno. Il ministro della Cultura, Atilla Koc, che fa parte di un governo di orientamento «islamico-moderato» ha riferito di aver preso in seria considerazione entrambe le richieste, ma che ci vorrà tempo.
La Diaspora Armena, che ha rifiutato l'invito del governo turco a partecipare all'inaugurazione ha fatto anche sapere che i turchi hanno trasformato il nome della Chiesa da Akhtamar in Akdamar. Il giorno della riapertura, fra l'esecuzione dell'inno turco e ritratti di Mustafa Kemal Atatürk, fondatore dello Stato laico e moderno, il passato armeno della chiesa non è mai stato menzionato e nonostante la presenza di una delegazione proveniente da Erevan, non c'era una sola bandiera armena a sancire definitivamente quel tentativo di riconciliazione.
Oggi, a Van, c'è una chiesa chiamata museo: senza croce, senza Messa, senza fedeli. E un museo che racconta una storia diversa. Nonostante tutto, però, forse adesso c'è anche un filo di speranza.
La riapertura, dopo un lungo restauro, della chiesa armena della Santa Croce sull'isola di Akdamar, nel lago di Van, è stata accolta da tutti come un gesto di distensione nei frapporti fra Ankara ed Erevan. Si tratta di uno dei monumenti armeni più importanti sul suolo turco, dopo la città di Ani, vicino a Kars. La presenza di una delegazione del governo armeno e il fatto che era stato restaurato un luogo sacro a una religione che non era quella musulmana, aveva riacceso la speranza. L'evento era stato anche opportunamente reclamizzato dal governo turco, come gesto di apertura.
Un primo tentativo di dialogo su quello che in Turchia è chiamato «Ermeni Soykirim Iddialari», il «cosiddetto genocidio armeno», e che è considerato dalla comunità internazionale il primo grande massacro del XX secolo. Una tesi che la Turchia non ha mai accettato, negando il numero dei morti (la versione ufficiale dice circa un milione, Ankara al massimo 300mila), negando che si sia trattato di un'eliminazione sistematica della popolazione armena. Di contro, ha accusato alcune potenze europee (soprattutto la Russia) di aver perpretato l'eccidio al suo posto e soprattutto sostiene che all'epoca dei fatti persero la vita anche oltre mezzo milione di turchi.
Storie di odio e dolore, avrebbero dovuto trovare in quell'isola nel lago di Van un nuovo punto di partenza. Il condizionale sembra quanto mai d'obbligo, perché nella stessa località, oltre alla chiesa della Santa Croce, sorge anche un museo, il Museo di Van per la precisione, che ha una sezione intitolata «ai massacri compiuti dagli Armeni». Il suo obiettivo è dimostrare e documentare i massacri compiuti dalle truppe russe e armene nella regione nel 1915. Praticamente un genocidio al contrario. Secondo i dati ufficiali locali, solo nella zona di Van furono sterminati oltre 2500 turchi. Il massacro, sempre secondo la versione, si estese anche ad altre zone dell'Anatolia orientale. I pannelli illustrativi del museo spiegano che sono state trovate fosse comuni con medaglie e rosari di chiara fattura ottomana insieme con proiettili di fabbricazione russa e che questa sarebbe la prova tangibile dell'avvenuto massacro.
Della versione ufficiale, che solo a Van furono 80mila gli armeni sterminati dai turchi e curdi (che a quei tempi combattevano paradossalmente dalla stessa parte), nessuna traccia. Chiesa della riconciliazione contro museo della negazione, insomma.
Ma non solo. Sulla riapertura del luogo di culto sull'isola di Akdamar, che di quell'eccidio è stata imponente testimone, si è addensata più di una nube. È stato riaperto al culto classificato come «museo». Ma, soprattutto, quella consacrata nel X secolo come «Chiesa della Santa Croce», sulla sua sommità la croce non la porta più da tempo. L'argomento in Turchia ha fatto discutere e diviso giornalisti, politici e esperti d'arte. Stando alla versione ufficiale dei restauratori, il simbolo sacro non è stato rimesso sulla cupola perché assente già dalla fine del 1800, ossia da quando l'edificio fu abbandonato.
La polemica non è mancata, anche perché lo stesso Patriarca armeno di Istanbul, Mesrob II, è intervenuto chiedendo con forza che la croce venisse rimessa sulla sommità dell'edificio e che la chiesa potesse ospitare almeno una funzione religiosa all'anno. Il ministro della Cultura, Atilla Koc, che fa parte di un governo di orientamento «islamico-moderato» ha riferito di aver preso in seria considerazione entrambe le richieste, ma che ci vorrà tempo.
La Diaspora Armena, che ha rifiutato l'invito del governo turco a partecipare all'inaugurazione ha fatto anche sapere che i turchi hanno trasformato il nome della Chiesa da Akhtamar in Akdamar. Il giorno della riapertura, fra l'esecuzione dell'inno turco e ritratti di Mustafa Kemal Atatürk, fondatore dello Stato laico e moderno, il passato armeno della chiesa non è mai stato menzionato e nonostante la presenza di una delegazione proveniente da Erevan, non c'era una sola bandiera armena a sancire definitivamente quel tentativo di riconciliazione.
Oggi, a Van, c'è una chiesa chiamata museo: senza croce, senza Messa, senza fedeli. E un museo che racconta una storia diversa. Nonostante tutto, però, forse adesso c'è anche un filo di speranza.
«Il Giornale» del 23 aprile 2007
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