10 marzo 2007

Questo il punto: quale tipo di comunicazione

di Giuseppe Savagnone
Davanti ai fenomeni sempre più allarmanti di violenza che vengono registrati nel mondo giovanile, è naturale che ci si interroghi sulla capacità educativa delle due grandi istituzioni che presiedevano tradizionalmente alla formazione delle nuove generazioni, la famiglia e la scuola. A questo proposito, è stato recentemente notato - su questo giornale - che il vero problema non è il perverso protagonismo di tanti ragazzi, ma la colpevole assenza degli adulti.
A partire da questa diagnosi, che condividiamo in pieno, vorremmo fare qui un passo avanti, cercando di mettere a fuoco almeno una delle cause di questa situazione, vale a dire la mancanza di una effettiva comunicazione tra questi diversi adulti, e precisamente tra i genitori e i docenti.
Si dice spesso che la nuova scuola ruota intorno all'alunno. Ma a quale alunno? A quello che dev'essere educato - anche attraverso dei "no" - all'incontro con la realtà e con gli altri, oppure a quello che, in quanto "utente", va semplicemente accontentato, in base al principio che "il cliente ha sempre ragione"? Su questa domanda si gioca il senso della convergenza tra scuole e famiglie oggi: si tratta di essere alleati nel formare personalità mature, oppure complici, come spesso purtroppo accade, in un permissivismo deleterio che genera, negli adolescenti soprattutto, solo violenza?
Se si vuole che la risposta vada nel primo senso, bisogna che la scuola e la famiglia comunichino veramente. Dove per comunicazione non ci riferiamo, qui, a quell'attività meramente funzionale che consiste nel trasmettersi informazioni o avvisi, ma a quel reale impegno per intendersi che implica un mettere in comune qualcosa della propria vita e del proprio pensiero.
Oggi questo non accade. I genitori partecipano poco o nulla alla vita degli istituti, come dimostra ampiamente la risibile percentuale dei partecipanti all'elezione degli organi collegiali, soprattutto dei consigli di classe. Ma questo disinteresse è a sua volta comprens ibile, se non giustificato, dal ruolo del tutto marginale che in questi organi è attribuito ai genitori stessi e in genere alla tendenza, da parte del personale scolastico, a farli sentire, dentro gli spazi della scuola, degli ospiti o, in certi casi, addirittura degli intrusi. Soprattutto non ci sono veri momenti di comunicazione. Il ricevimento delle famiglie spesso si svolge in un clima di confusione e di fretta. Non si parla quasi mai dei problemi umani dei rispettivi figli e alunni, ma solo delle prospettive - positive o negative che siano - legate al rendimento nelle diverse discipline.
Ora, senza la comunicazione - nel senso sopra detto - è impossibile la cooperazione che è alla base dell'opera educativa. Al di là dei diversi ambienti in cui la personalità del ragazzo si forma - la famiglia, la scuola... - essa è una e solo da uno sguardo d'insieme, che ne colga le diverse sfaccettature, diventa possibile individuarne anche le caratteristiche, le esigenze, le potenzialità, e dare loro coerentemente una risposta adeguata.
Senza dire che un'impresa educativa suppone almeno alcuni valori condivisi da parte degli educatori. La comunicazione tra scuola e famiglia è anche determinazione comune di questi valori e impegno nel testimoniarli e trasmetterli, sia in casa che a scuola. Solo così può nascere quella comunità educante che ogni istituto dovrebbe realizzare, e di cui personale scolastico e famiglie, insieme agli studenti, fanno parte a pieno titolo.
Se non si lavora in questa direzione, il ruolo degli adulti resterà debole sia in famiglia che a scuola. Non c'è tempo da perdere. In ogni scuola bisognerebbe avviare una riflessione franca e, se occorre, perfino spietata, sullo stato dei canali comunicativi con le famiglie degli alunni. E, se l'esito di questa diagnosi fosse negativo, lavorare a riattivare quelli già esistenti o a crearne di nuovi. Altrimenti non dovremo meravigliarci di veder dilagare, sotto i nostri occhi, la deriva di inciviltà che già tr ascina tanti nostri ragazzi.
«Avvenire» del 6 marzo 2007

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