06 febbraio 2007

Se gli ebrei buoni sono quelli contro Israele

Un libro di Ottolenghi attacca gli intellettuali tolleranti con l’Islam e critici verso il sionismo
di Magdi Allam
L’ultima frontiera del politicamente corretto: rinnegare la propria patria

Il testo qui pubblicato è la prefazione di Magdi Allam al libro di Emanuele Ottolenghi «Autodafé. L’Europa, gli ebrei e l’antisemitismo», Lindau, pagine 382, 24, in questi giorni in libreria. Emanuele Ottolenghi ha insegnato Storia d’Israele all’Università di Oxford. Ora dirige il Transatlantic Institute di Bruxelles
È proprio vero che questa nostra Europa si è ormai sottomessa al terrorismo ideologico dei taglialingua, il nemico occulto e subdolo ma ben più letale del terrorismo fisico dei tagliagola. Perché ci trasforma in un esercito di zombie, morti che camminano privati della facoltà di dire ciò che pensano e di vivere come vorrebbero. Un’immagine che a me apparve manifesta all’indomani del discorso pronunciato da Benedetto XVI all’Università di Ratisbona il 12 settembre 2006, quando fu criticato e condannato pressoché all’unanimità sia in seno al mondo islamico sia in seno all’Occidente cristiano. Semplicemente per aver condannato l’uso della violenza da parte dell’Islam e aver sostenuto il connubio indissolubile tra fede e ragione. Il Papa è stato giudicato massimamente colpevole per aver trasgredito il nuovo dogma dell’«islamicamente corretto», partorito dal relativismo cognitivo, valoriale, culturale e religioso che avvelena un’Europa votata al suicidio della propria civiltà. Ed è questa stessa Europa relativista e disfattista che ha generato un altro dogma, «l’ebraicamente corretto», secondo cui «gli ebrei che rifiutano il sionismo sono buoni ebrei. Gli ebrei che si dissociano da Israele sono buoni ebrei. Gli ebrei che si rifiutano di dubitare della validità del sionismo e della legittimità di Israele, di considerarlo la quintessenza del male, o di rifiutarne la centralità nella loro identità moderna, sono cattivi ebrei». Si tratta di una nuova versione dell’antiebraismo in cui, rileva Ottolenghi, «il pregiudizio antiebraico non è diretto a tutti gli ebrei indistintamente, ma "solo" a quegli ebrei che, con varia misura e intensità, si identificano o sono solidali con lo Stato d’Israele». Sono anni che individuo nell’odio contro Israele il fulcro dell’ideologia dell’odio, della violenza e della morte che è il combustibile che alimenta il terrorismo islamico e che ha finito per ergersi a collante identitario di un insieme di estremismi, islamico, di destra, di sinistra, nazionalista, ecologista e no global, all’insegna dell’antiebraismo, dell’antiamericanismo, dell’antioccidentalismo, dell’antiglobalismo. Ebbene questo libro, partendo da uno studio meticoloso, arriva in modo fondato e giustificato a far emergere come l’autentica «radice del male» sia inequivocabilmente l’odio contro Israele. E come quest’odio finisca per diventare il paravento dietro cui si celano e che permette di riesumare l’odio nei confronti della maggioranza degli ebrei che hanno a cuore le sorti di Israele. In questo contesto Ottolenghi sottolinea il ruolo, tutt’altro che secondario, svolto da «alcuni ebrei europei, per lo più intellettuali o accademici, che hanno risposto all’ultimo attacco contro il popolo ebraico scusandolo, giustificandolo e in definitiva prendendovi parte. ( ) Nel loro rifiuto di Israele, essi si fanno portatori di quella che è ritenuta in Europa essere l’autentica voce dell’ebraismo, cioè uno spirito di dissenso apolide e cosmopolita tipico dell’intellettuale senza frontiere, guidato da un innato rifiuto per fede, religione, identità nazionale e potere costituito. ( ) L’ebreo che piace di più insomma, è quell’ebreo che ebreo non lo è più». Si parte quindi dall’odio contro Israele per argomentare la negazione del diritto di Israele all’esistenza in quanto Stato ebraico, fino ad approdare alla negazione del diritto dell’ebreo a esistere in quanto ebreo. Scorrendo in anteprima queste pagine ho rivissuto dentro di me la sofferenza e la difficoltà oggi, qui in Italia e in Europa, di dire semplicemente ciò che i nostri occhi vedono, ciò che le nostre orecchie sentono, ciò che la nostra mente rappresenta in modo elementare come realtà tangibile e manifesta. Si rimane increduli e inorriditi nel leggere frasi che trasudano ostilità nei confronti, non tanto della politica del governo israeliano, ma dello Stato di Israele e del suo diritto all’esistenza, pronunciate da giornalisti, intellettuali e accademici ebrei e non ebrei che popolano le principali testate europee. Comprensibilmente Ottolenghi si sofferma principalmente sulla responsabilità degli «ebrei antisionisti di oggi» che «assolvono la stessa funzione, nel linguaggio del pregiudizio antiebraico e antisemita, assunta un tempo dagli ebrei convertiti». Spiegando che «di fronte al quotidiano vilipendio sollevato oggi in Europa contro chi difende Israele, ( ) non c’è da stupirsi se alcuni ebrei preferiscono dissociarsi da Israele, ergersi da difensori di un ebraismo "autentico" che non ha nulla a che fare con il sionismo e lo Stato ebraico, e unirsi al coro dei detrattori d’Israele». A Ottolenghi va il merito di averci offerto una documentazione oggettiva e obiettiva, con nomi e cognomi, citazioni testuali e analisi argomentate, su quella che è a mio avviso la tematica centrale della principale emergenza internazionale: la radice dell’odio nei confronti di Israele. Perché soltanto conoscendo questa realtà nella sua integralità e complessità, senza mistificazioni e ipocrisie, potremo insieme riscattarci dal baratro etico che ha finito per trasformare l’Europa nella roccaforte di quel «politicamente corretto» che ci sta consegnando ai nemici della libertà e della democrazia.
«Corriere della sera del 29 gennaio 2007

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