Nella «Storia della Shoah», pubblicata dalla Utet, Valentina Pisanty affronta il tema oggi più scottante
di Dario Fertilio
Oltre il neonazismo, tutti i colori di chi contesta l’Olocausto
di Dario Fertilio
Oltre il neonazismo, tutti i colori di chi contesta l’Olocausto
Gratta via il negazionismo, ci ritrovi il neo-nazismo: slogan troppo azzeccato perché dia segni di vecchiaia. Adesso, tuttavia, è tempo di aggiornarlo: guarda quel negazionista, forse viene da sinistra. Perché il partito degli antisemiti ha mille facce e non discrimina sui colori di provenienza (nero fascista, bruno nazionalsocialista, rosso comunista, o anche verde islamista). L’uno o l’altro pari sono, purché concorrano a rafforzare il mito fondante, la tesi principale: l’idea di una congiura "giudeo-pluto-massonica" che avrebbe inventato lo sterminio nelle camere a gas per legittimare e rendere inattaccabile il suo dominio sul mondo. Se qualcuno nutrisse dubbi in proposito, dovrebbe correre a leggersi la colossale Storia della Shoah appena pubblicata dalla Utet, e in particolare il capitolo - a firma di Valentina Pisanty - dedicato alla questione degli studiosi, o presunti tali, che mettono in discussione l’importanza, il significato, la portata e in definitiva l’esistenza stessa della Shoah. Valentina Pisanty, semiologa all’università di Bergamo e autrice di libri importanti sul tema, analizza in realtà l’intero fenomeno, sforzandosi per così dire di entrare nella mente di coloro che vi si riconoscono. L’intento comune ai negazionisti è provare l’esattezza di un assioma fondamentale: le camere a gas sono un’invenzione della propaganda alleata, di matrice sionista, volta ad estorcere ingenti riparazioni di guerra alla Germania, e quindi a servirsene per finanziare lo stato di Israele. Ovvio che un’elementare norma di prudenza li spinga a non presentare troppo brutalmente le loro tesi; eccoli dunque, per motivi tattici, mascherarsi volentieri da «revisionisti» (espressione nobile che indica invece la disposizione dello storico a mettere sempre in discussione le analisi e a rivedere i risultati delle sue ricerche) e che li avvicina se mai ai «riduzionisti» (categoria più ambigua e sfuggente che alcuni attribuiscono a Ernst Nolte). Un modo per riconoscerli al di là d’ogni ragionevole dubbio? Esiste, e si identifica con otto assiomi: la "soluzione finale" consisteva nell’emigrazione e non nello sterminio; non ci furono vittime gasate; la maggior parte degli ebrei scomparsi emigrarono in America e in Urss facendo sparire le proprie tracce; i pochi ebrei giustiziati erano criminali sovversivi; la comunità ebraica mondiale perseguita chiunque voglia svolgere ricerca storica onesta sulla seconda guerra mondiale; non ci sono prove che sia avvenuto un genocidio; l’onere della prova sta dalla parte degli "sterminazionisti"; le contraddizioni riguardo ai calcoli delle vittime dimostrano con certezza il carattere menzognero delle tesi ufficiali. É estremamente interessante anche l’analisi "tecnica" realizzata dalla Pisanty sui procedimenti mentali con cui si isola la singola testimonianza dal complesso delle prove in cui è inserita, per renderla più vulnerabile agli attacchi; ci si sforza di screditare i testimoni, facendoli apparire psicolabili, alcolizzati, depravati, accusandoli di agire a scopo di lucro (Elie Wiesel) o addirittura di essere un’invenzione della propaganda alleata e sionista (il personaggio Anne Frank). Una confraternita inquietante, insomma, quella dei negazionisti, che possono riconoscere fra i loro padri spirituali i francesi Maurice Bardèche, dichiaratamente fascista, e l’ex professore dell’università di Lione Robert Faurisson. Quest’ultimo, nel ‘78, si atteggiò a vittima perseguitata, guadagnandosi l’attenzione del quotidiano progressista Le Monde e del celebre Noam Chomsky: prima occasione clamorosa di convergenza fra negazionismo e sinistra, che un quindicennio più tardi avrebbe avuto nel caso del filosofo ex-comunista Roger Garaudy il suo esempio più clamoroso. Non certo l’unico, comunque, se solo si pensa alla strana "sindrome di Stoccolma" che colpì Paul Rassinier, deportato a Buchenwald, appartenente alla sinistra pacifista, che passando dalla casa editrice di estrema destra Les Sept Couleurs a quella di estrema sinistra La Vieille Taupe diretta da Pierre Guillame, volle mettere in discussione le «distorsioni» cui la «storiografia dei vincitori» avrebbe sottoposto la storia della guerra. Oggi è proprio l’Italia il paese in cui il negazionismo di sinistra sembra aver messo radici più profonde: fra i suoi esponenti Andrea Chersi e soprattutto Cesare Saletta (comunista di scuola "bordighiana"), attento a cogliere il «ruolo che gli ebrei giocano nella civiltà capitalista», oltre alla casa editrice Graphos. Ma sullo sfondo una forza ben più potente, l’islamismo totalitario, sta tentando di accreditare e organizzare l’area pur sempre magmatica e contraddittoria dei negazionisti. L’ultimo, provocatorio convegno storico organizzato dal presidente Ahmaninejad a Teheran è servito probabilmente proprio a questo. Come reagire all’antisemitismo appena mascherato che aleggia? Non con le leggi né con le censure, che oltretutto (come hanno dimostrato gli ultimi falliti tentativi, compiuti in alcuni paesi, di oscurare i siti web negazionisti) finiscono per suscitare pericolose ondate garantiste di sostegno, in difesa della libertà d’espressione. Tanto meno, dopo il caso Irving in Austria, ricorrendo al carcere. Il progetto Nizkor ricordato dalla Pisanty (in ebraico «Noi ricorderemo») si è assunto il compito di smascherare le bugie negazioniste attraverso un meticoloso monitoraggio dei siti. Il motto adottato è: «per combattere idee perniciose servono altre idee». È qui, allora, che si giocherà la vera partita della storia.
L’edizione completa, una delle più esaurienti esistenti sull’argomento, è composta da quattro volumi di saggi, uno di documenti, tre Dvd (su Norimberga, Eichmann e il Tribunale dei giusti) e un Cd Rom con l’ipertesto dell’opera. Viene documentata per la prima volta la storia della memoria e delle rappresentazioni della Shoah nell’arte (cinema, letteratura, teatro, fotografia). Per celebrare la Giornata della memoria, l’Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv organizza il 30 gennaio una presentazione della «Storia della Shoah» alla presenza dell’ambasciatore d’Italia in Israele.
«Corriere della sera» del 26 gennaio 2007
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