Parla l'astrofisico Jean-Pierre Luminet: «È un concetto fecondo. L'uomo ne ha bisogno anche per comprendere le cose finite»
Di Luigi Dell'Aglio
«Ogni 25 anni i fisici annunciano la sua morte Ma poi risorge sempre...»
«Chi è? Oh, benissimo, fate entrare l'infinito». Perché non si dubitasse delle sue convinzioni materialistiche, il poeta francese Louis Aragon sull'infinito ci scherzava in versi. L'astrofisico francese Jean-Pierre Luminet, da scienziato, prende invece sul serio la questione: «Tutto ciò che riusciamo a conoscere sperimentalmente non è infinito. Ma, appena ci mettiamo a pensare, ecco che fa la sua comparsa l'idea dell'infinito». Ogni quarto di secolo, i fisici cambiano parere sull'infinito: prima esiste, poi non esiste, poi di nuovo esiste. Tanto che, a conclusione del suo libro Finito o infinito?, recentemente pubblicato da Cortina e scritto con Marc Lachièze-Rey (pagine 178, euro 19,00), Luminet esclama esultante: «L'infinito è morto. Viva l'infinito». Soppesata la questione, Luminet si persuade che, quando da una teoria viene eliminato l'infinito, ci si ritrova poi con una teoria nuova che postula, a sua volta, un nuovo infinito. Se lo cacci dalla porta, rientra dalla finestra, spiegherà sabato al festival della Scienza di Genova in una conferenza dal titolo «Sull'infinito. Limiti ed enigmi dell'universo».
Professore, perché l'infinito è come l'araba fenice che risorge dalle proprie ceneri?
«L'infinito, nello spazio e nel tempo, ha tormentato tutti i grandi pensatori della storia. Ma non è stato mai liquidato. Perché alla nozione di infinito si deve ricorrere spesso. È un concetto fecondo. L'uomo, essere finito, ha bisogno dell'infinito anche per comprendere le cose finite».
L'infinito regna nella matematica. Ma tanti scienziati lo detestano. Perché?
«Tutta la matematica sembra costruita sul concetto di infinito. Non esiste un numero "ultimo"; dopo quello, ce ne sarebbe sempre un altro. Ma non pochi fisici allontanano l'idea di infinito. Come se ne avessero orrore. Come per ribellarsi all'affascinante ipotesi di un aldilà che possa offrirci una promessa infinita. Sembra che covino un rifiuto violento, un "no" irraziona le, passionale. Chissà, forse pensano, come lo psicanalista Jacques Lacan, che "si riesce a sopportare la vita soltanto perché ha un termine". E sono tanti gli esempi di odio per l'infinito e per gli "infinitisti"».
Il caso più clamoroso?
«Il più drammatico, direi: la congiura contro Georg Cantor, matematico tedesco, uno dei più appassionati "visionari dell'infinito". Oggi le sue ricerche sono considerate le basi della matematica moderna. Ma allora (alla fine dell'Ottocento) furono scartate con ripugnanza. Cantor venne isolato e finì per diventare pazzo».
Il mondo della scienza ha i suoi omicidi bianchi. Ma l'altalena finito-infinito quando è cominciata?
«Per Aristotele, l'infinito è solo potenziale, non attuale. Perché nessuno può indicare un numero ultimo che sia "attualmente infinito". Per il filosofo Archita di Taranto era invece assurdo un universo finito. "Finisce con un muro? - si chiedeva - No. Arrivato al confine, io potrei sempre allungare una mano oltre. Allora è infinito". Nel Quattrocento il filosofo Nicola Cusano disse: "La fabbrica dell'universo ha ovunque il suo centro, e la sua circonferenza da nessuna parte". E Cartesio: l'intelletto finito è in grado di riconoscere l'infinito, ma solo Dio è infinito. Cantor, tre secoli dopo, ribatte: "La più alta perfezione di Dio è la possibilità di creare un insieme infinito, e la sua immensa bontà lo conduce a crearlo"».
Nella storia della scienza - in tema di infinito - si è discusso molto sui famosi paradossi. Mettevano alla prova gli intelletti più acuti.
«Nel paradosso di Zenone, una freccia viene scagliata contro il bersaglio ma non lo raggiunge mai. Infatti, percorsa la metà del suo cammino, gliene resta da percorrere un'altra metà, e poi la metà della metà, eccetera, e non si finisce più. Per lo stesso motivo, Achille non raggiungerà mai la tartaruga. Per John Stuart Mill, però, il paradosso nasce dalla confusione tra tempo indefinitamente divisibile e tempo infini to».
La cosmologia moderna ha aperto un dialogo, o continua il duro scontro di una volta?
«La questione finito-infinito viene ora affrontata con una certa tranquillità. Nei primi decenni del Novecento, c'è stata la rivoluzione cosmologica. Il merito è della teoria della relatività generale di Albert Einstein e delle numerose scoperte astronomiche. I concetti di tempo e spazio subiscono modifiche. L'universo non è più una struttura immutabile. Si afferma l'idea che è possibile concepire uno spazio che sia, al tempo stesso, finito e senza confine. Non si parla più di paradossi e contraddizioni: finito e infinito sembrano ugualmente possibili. E, per farlo capire meglio, nel mio libro ho messo una frase dell'umorista francese Pierre Dac: "l'infinito è lungo, soprattutto verso la fine"».
Professore, perché l'infinito è come l'araba fenice che risorge dalle proprie ceneri?
«L'infinito, nello spazio e nel tempo, ha tormentato tutti i grandi pensatori della storia. Ma non è stato mai liquidato. Perché alla nozione di infinito si deve ricorrere spesso. È un concetto fecondo. L'uomo, essere finito, ha bisogno dell'infinito anche per comprendere le cose finite».
L'infinito regna nella matematica. Ma tanti scienziati lo detestano. Perché?
«Tutta la matematica sembra costruita sul concetto di infinito. Non esiste un numero "ultimo"; dopo quello, ce ne sarebbe sempre un altro. Ma non pochi fisici allontanano l'idea di infinito. Come se ne avessero orrore. Come per ribellarsi all'affascinante ipotesi di un aldilà che possa offrirci una promessa infinita. Sembra che covino un rifiuto violento, un "no" irraziona le, passionale. Chissà, forse pensano, come lo psicanalista Jacques Lacan, che "si riesce a sopportare la vita soltanto perché ha un termine". E sono tanti gli esempi di odio per l'infinito e per gli "infinitisti"».
Il caso più clamoroso?
«Il più drammatico, direi: la congiura contro Georg Cantor, matematico tedesco, uno dei più appassionati "visionari dell'infinito". Oggi le sue ricerche sono considerate le basi della matematica moderna. Ma allora (alla fine dell'Ottocento) furono scartate con ripugnanza. Cantor venne isolato e finì per diventare pazzo».
Il mondo della scienza ha i suoi omicidi bianchi. Ma l'altalena finito-infinito quando è cominciata?
«Per Aristotele, l'infinito è solo potenziale, non attuale. Perché nessuno può indicare un numero ultimo che sia "attualmente infinito". Per il filosofo Archita di Taranto era invece assurdo un universo finito. "Finisce con un muro? - si chiedeva - No. Arrivato al confine, io potrei sempre allungare una mano oltre. Allora è infinito". Nel Quattrocento il filosofo Nicola Cusano disse: "La fabbrica dell'universo ha ovunque il suo centro, e la sua circonferenza da nessuna parte". E Cartesio: l'intelletto finito è in grado di riconoscere l'infinito, ma solo Dio è infinito. Cantor, tre secoli dopo, ribatte: "La più alta perfezione di Dio è la possibilità di creare un insieme infinito, e la sua immensa bontà lo conduce a crearlo"».
Nella storia della scienza - in tema di infinito - si è discusso molto sui famosi paradossi. Mettevano alla prova gli intelletti più acuti.
«Nel paradosso di Zenone, una freccia viene scagliata contro il bersaglio ma non lo raggiunge mai. Infatti, percorsa la metà del suo cammino, gliene resta da percorrere un'altra metà, e poi la metà della metà, eccetera, e non si finisce più. Per lo stesso motivo, Achille non raggiungerà mai la tartaruga. Per John Stuart Mill, però, il paradosso nasce dalla confusione tra tempo indefinitamente divisibile e tempo infini to».
La cosmologia moderna ha aperto un dialogo, o continua il duro scontro di una volta?
«La questione finito-infinito viene ora affrontata con una certa tranquillità. Nei primi decenni del Novecento, c'è stata la rivoluzione cosmologica. Il merito è della teoria della relatività generale di Albert Einstein e delle numerose scoperte astronomiche. I concetti di tempo e spazio subiscono modifiche. L'universo non è più una struttura immutabile. Si afferma l'idea che è possibile concepire uno spazio che sia, al tempo stesso, finito e senza confine. Non si parla più di paradossi e contraddizioni: finito e infinito sembrano ugualmente possibili. E, per farlo capire meglio, nel mio libro ho messo una frase dell'umorista francese Pierre Dac: "l'infinito è lungo, soprattutto verso la fine"».
Avvenire del 25 ottobre 2006
Un giorno arriverò io a spiegare tutto!! :D
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