06 giugno 2006

E la saggezza dei proverbi creò l'Italia

«Allo stato attuale si può dire che i detti sumeri siano i più antichi, anche di quelli egizi, come si credeva un tempo». Dal libro della Bibbia ai dialetti
di Andrea Fagioli
«Il proverbio è una frase breve di forma lapidaria o sentenziosa, codificata nella memoria collettiva o in forma scritta, che enuncia una verità ricavata dall'esperienza e presentata come conferma d'una argomentazione, consolidamento d'una previsione, ovvero regola, ammonimento ricavabili da un fatto. Può essere formulato in forma metrica, cantilenata o in prosa ritmata, oppure del tipo della salmodia. Ha di solito tradizione antica e una certa diffusione. Si vuole che sia una forma di sapere popolare, e spesso è vero, in quanto la gente comune ne ha fatto sempre largo uso e conserva queste formule sapienziali, a volte peraltro antichissime, provenienti però anche dalla tradizione colta, fissate in scritture sacre, in raccolte dotte. Dovette essere, in tempi remoti, una forma di cultura elitaria, né ha cessato mai di essere patrimonio delle persone colte da Aristotele a Petrarca a Manzoni».Eccolo il proverbio, così come lo spiega Carlo Lapucci introducendo il suo Dizionario dei proverbi italiani, fresco di stampa presso l'editore Le Monnier (Elemond) di Firenze, che mette insieme per la prima volta 25 mila detti, adagi, aforismi, massime, sentenze e precetti raccolti in ogni angolo della Penisola, li sistema per sinonimi, li interpreta e li spiega nel significato e nell'origine. Un libro agevole, nonostante le oltre mille e 300 pagine, di facile consultazione e di prezzo accessibile (26 euro). Ma il lavoro che lo precede è stato enorme.Professor Lapucci, a quando risale l'idea del «Dizionario»?«Ad oltre trent'anni fa. Il punto di partenza si può far risalire addirittura al 1969 quando uscì la prima edizione del volume Per modo di dire - Dizionario dei modi di dire della lingua italiana, presso la Casa Editrice Valmartina, che allora era a Firenze. È stata quella la prima edizione di un dizionario dei modi di dire della nostra lingua ed ebbe molta fortuna. Nel fare quell'opera venni in contatto con il mondo d ei proverbi e mi resi conto del perché non c'era ancora stata in Italia un'opera completa in materia. Un po' per difetto della nostra cultura, un po' per difficoltà oggettive della nostra lingua: in primo luogo la pretesa della lingua ad essere nazionale quando ancora non lo era; poi per i suoi rapporti, o meglio per i suoi debiti nei confronti dei dialetti».Pensò allora che sarebbe stata un'impresa impossibile?«Ritenni allora che non fosse possibile arrivare a un'opera generale per i proverbi, ma cominciai a farmi uno schedario della materia, per uso personale: scrivevo libri, articoli, tenevo una rubrica di lingua italiana su una rivista. Con gli anni ho pubblicato almeno cinque repertori specifici di proverbi, mediante i quali ho studiato i vari problemi di un simile repertorio: la raccolta, la selezione, la struttura, la dimensione, il rapporto con il dialetto».Si deve a questo lavoro preparatorio l'aver cambiato idea e pensato che un «Dizionario dei proverbi» sarebbe stato possibile?«Fondamentale è stato I proverbi dei mesi, uscito da Cappelli di Bologna nel 1975, che ho scritto insieme a mia moglie Anna Maria Antoni, alla quale devo molto di quello che ho fatto e abbiamo fatto insieme. Fu quello che mi fece intravedere la possibilità di scrivere un'opera come quella che è uscita. Nel frattempo il mio schedario aveva raggiunto una dimensione tale da dare un'idea più precisa della materia e delle difficoltà che presentava il lavoro. Diceva un poeta che per scrivere un verso bisogna aver viaggiato il mondo. Forse questo è necessario a volte anche per spiegare un proverbio».È davvero così difficile spiegare un proverbio?«Uno degli aspetti trascurati dagli studiosi e dai raccoglitori, soprattutto di proverbi popolari, è proprio il loro significato. Va detto che in un passato prossimo il senso di un proverbio comune sfuggiva a pochi: l'uso era talmente diffuso che informarsene, se necessario, non er a un problema. Ma se dal proverbio comune si sale a quello meno usato, più particolare, di argomento morale, spirituale, religioso, ci si accorge che anche in passato le cose non erano così semplici. Il proverbio, che ha già di per sé la caratteristica di assumere sfumature di significato dal modo con cui lo si cita e dal contesto nel quale si usa, viene usato con interpretazioni diverse in luoghi diversi e con significati a volte contrastanti perfino dalle varie persone. Inoltre, il proverbio mantiene il suo crisma antico di dottrina se non per iniziati, per sapienti, ovvero saggi. Come tale in molte forme ama nascondere il proprio significato in un gioco d'immagini e d'allusioni».Un esempio?«Un esempio banale può essere: Grano in terra non chiede l'elemosina a quello in cielo. Anche per un contadino del passato, al corrente di tutto il ciclo del grano la comprensione sarebbe stata ardua: il pane in cielo fa pensare a qualcosa di religioso, come l'eucarestia: il pane celeste. Ma si fa semplice allorché si considera che le tempeste di vento sovente piegano il grano già sviluppato o maturo stendendone in terra interi campi. Bene: quella che agli occhi inesperti può sembrare una disgrazia, un raccolto compromesso, non lo è per chi ha esperienza, poiché il grano piegato dal vento, dalla burrasca non fruttifica meno di quello che sta dritto sullo stelo, anzi, secondo alcuni è più produttivo».Esiste una data di nascita del proverbio?«I proverbi sono antichissimi: si trovano nelle culture primitive come parte fondamentale del sapere, regole, massimari dei codici che riguardano varie branche dell'attività e diversi aspetti del sapere. Anche la tradizione scritta dei popoli civilizzati più antichi testimonia la presenza di proverbi. C'erano proverbi nel mondo egizio, babilonese, assiro, cinese. Per molto tempo si è pensato che il libro della Bibbia I Proverbi fosse il testo e la raccolta più antica di questo genere. Con l a decodificazione della lingua egizia siamo venuti a conoscenza d'una notevole quantità di forme proverbiali di questa antica civiltà che si è a sua volta proposta come la più antica. Ma tale non è rimasta per molto: con l'interpretazione delle tavolette d'argilla provenienti dai ritrovamenti delle civiltà mesopotamiche, siamo venuti in possesso di parecchie raccolte sumeriche di proverbi, alcune databili verso il diciottesimo secolo avanti Cristo, e quindi di diversi secoli più antiche dei testi egizi».Un proverbio su tutti?«Ce ne sono di bellissimi, profondi e molto saggi, ma quello che mi ha sempre affascinato è un detto pieno di mistero: In cent'anni e cento mesi torna l'acqua ai suoi paesi. C'è in questa frase, per le sue implicazioni, una conoscenza arcaica del mondo, che lasciano stupefatti e ammaliati. Deriva forse dal latino Ad fontes redeunt longo post tempore limphae (Dopo molto tempo le acque tornano alle loro fonti). Riecheggia le parole dell'Ecclesiaste: "Quel che è stato sarà". Ma soprattutto dà un'idea ciclica della vita, che metto piuttosto in collegamento con quello che dicevano i contadini quando trovavano le conchiglie nei campi: Là dov'era l'acqua ritorna».
«Avvenire» del 6 giugno 2006

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