18 dicembre 2015

Il mio viaggio nella clinica dove si affittano gli uteri

di Monica Ricci Sargentini
Prendere un appuntamento per avere un figlio con una madre surrogata è facile. Sul sito California Premium Surrogacy si clicca su «genitori intenzionali» e si compila un modulo in cui si forniscono nome, cognome, email, accompagnati da un breve messaggio. La risposta arriva entro poche ore. La mattina dopo ci presentiamo alla Santa Monica Fertility Clinic nell’omonimo boulevard di questa cittadina baciata dal sole dove ogni desiderio sembra a portata di mano.
«Buongiorno Monica sono Julie Webb, la coordinatrice dei pazienti, sono contenta che tu sia venuta a trovarci dall’Italia». Capello corto, viso acqua e sapone, abbigliamento casual, ci fa fare il giro della clinica, un appartamento a pian terreno dall’aspetto modesto ma confortevole: «La comodità — dice — è che facciamo tutto qui, dal pick up degli ovuli della donatrice al transfer dell’embrione nell’utero della portatrice. Voi non dovete preoccuparvi di nulla, pensa a tutto il dottor Jain. Se non potete venire dall’Italia possiamo sentirci su Skype. Se al momento del parto avete un impedimento andiamo in clinica io e l’avvocato per prenderci cura del neonato».
Ma la mamma surrogata potrebbe cambiare idea e tenersi il bambino? «La mamma sei tu — precisa Julie — lei è la portatrice. E sei tu che decidi tutto, anche se farla abortire. La legge ha più volte stabilito che lei non ha alcun diritto. Sarà scritto tutto nel contratto che firmerete con l’avvocato. Una volta fatto l’accordo si va dal giudice e si fa un atto di prenascita così è già chiaro che siete voi i genitori. Il bimbo, se volete, avrà la cittadinanza americana». A 51 anni è impossibile pensare di usare i propri ovuli, e così scorriamo insieme i profili delle donatrici di ovuli.
Ce ne sono di tutti i tipi: bionde, brune, ricce, lisce, nere, asiatiche, bianche. Nella scheda sono segnate età, altezza, peso, colore degli occhi, scuole frequentate, voti ottenuti, passioni e hobby. C’è persino la storia clinica della famiglia. «Le nostre ragazze hanno fatto tutti i controlli medici possibili. Potete stare tranquilli» dice la coordinatrice. Chiediamo consiglio sul profilo da scegliere dal catalogo: «Dovrebbe essere una donna il più possibile vicina ai miei tratti somatici, giusto?». Scuote la testa: «Dipende dai gusti. Ognuno fa come vuole. Mi ricordo una paziente cinese che ha scelto ovuli di una donna bianca».
E quando nasce il bimbo cosa succede? Potremo portarlo subito via? Dovrà stare con la surrogata qualche giorno? «Decidi tu — spiega Julie — puoi stare nella stanza accanto e ti portano il bambino. Se vuoi la surrogata si tira il latte e tu glielo dai col biberon, i primi giorni fa bene al piccolo perché c’è il colostro e anche a lei perché tirandosi il latte aiuta l’utero a tornare a dimensioni normali».
Quanto ci vuole per trovare la surrogata giusta? «Dipende! Le nostre sono tutte della zona, facciamo uno screening accuratissimo, andiamo a vedere dove vivono, come mangiano, controlliamo la fedina penale e poi le sottoponiamo a screening psicologi. Siamo molto, molto severi per evitare sorprese dopo. Solo il 10% delle domande viene accettata». Ma perché lo fanno? «Beh è un gesto ben visto dalla società perché è altruistico, per aiutare una coppia in difficoltà e poi chiaramente per i soldi che per legge non devono servire a sopravvivere ma a stare meglio. Una surrogata non può essere senza casa o dipendente dai sussidi dello Stato».
I tempi per la procedura non sono biblici. Se accettiamo, a febbraio potremo fare il primo transfer e il bambino potrebbe arrivare entro la fine del prossimo anno. «Io ho già una portatrice ready to go — spiega Julie con un mezzo sorriso — che se dovessi fare io questo percorso prenderei subito. È lesbica, molto coscienziosa ma non ansiosa. Perfetta secondo me. È alla prima gravidanza surrogata ma ha già due figli suoi. Tieni conto che le surrogate che l’hanno già fatto costano di più, vedi qui sul catalogo c’è scritto premium vuol dire che sono le più gettonate. Molti preferiscono una portatrice lesbica perché non ha rapporti sessuali con penetrazione e in gravidanza è sempre meglio evitare».
Parliamo di soldi che sono in tre tranche. Per la donazione di ovuli ci vogliono quasi 40mila dollari. Per la madre surrogata si parte con 58mila cui si devono poi aggiungere altri 77mila per un totale di 135mila dollari. La portatrice prende un compenso a ogni passo: alla prima iniezione, al transfer, alla conferma del battito, per i viaggi, per i vestiti e una paghetta mensile. In tutto nelle tasche della donna entrano 40mila dollari. Il colloquio dura un’ora, non ci viene chiesto perché facciamo questa scelta, né se abbiamo figli. Mentre ci accompagna alla porta Julie sembra soddisfatta «Sono molto eccitata per voi che state iniziando questo percorso».
Due minuti dopo arriva l’email con la password per scegliere la donatrice di ovuli.
«Corriere della sera» del 18 dicembre 2015