18 ottobre 2015

Se da queste foto cancelli lo smarpthone si vede la nostra solitudine

di Luca Mastrantonio
Cosa ci dice la fotografia dell’americano Eric Pickersgill che ritrae una coppia abbracciata ma con l’aria stranamente assente? Che si può stare insieme, intimamente, e restare soli. Alla saggista Sherry Turkle è servito un libro per dimostrare questa tesi (Insieme ma soli); a Pickersgill basta un clic per mostrarla in tutta la sua evidenza, come nella serie di foto Removed, in cui ha, appunto, rimosso gli smartphone da scene di vita quotidiana. Cade così la maschera sulla condizione esistenziale dell’uomo iper-connesso: la solitudine.

Gli sguardi fissi sugli schermi ci permettono di restare connessi a moltissime persone online, ma rischiano di farci perdere il contatto, visivo e non solo, con le persone attorno a noi, nei luoghi fisici, offline, che abitiamo. Situazioni comuni a tutti noi, vissute ogni giorno, in luoghi socializzanti. 
 
Come quel caffè dove Pickersgill (classe 1986, nato in Florida) vide una famiglia praticamente atomizzata dagli smartphone. Assurdo, pensò. Lì, racconta su www.removed.social, gli venne l’ispirazione per Removed. Foto in cui le persone osservano con grande concentrazione i propri palmi delle mani, quasi trattenessero l’ombra di qualcosa di importante, qualcosa che continuano a mettere a fuoco, ma non c’è (lo smartphone rimosso). Per ottenere questo effetto, allo stesso tempo naturalissimo e straniante, Pickersgill ha scattato le foto dopo aver tolto fisicamente i cellulari dalle mani dei proprietari, che restano con i palmi semichiusi, i pollici piegati; per renderne apprezzabile anche lo spazio mentale, psicologico, ha chiesto loro di mantenere intatta l’espressione del volto, oltre alla postura. Così l’assenza dello smartphone si acuisce, è visivamente tangibile e rende palese la sua tirannia nelle nostre vite.
Stiamo esagerando? Se ragioniamo per assurdo, no. Rimuovendo altri oggetti usati per compiere azioni comuni, il senso di questi gesti persiste: togliete le posate a un commensale, la chitarra a un chitarrista, l’auto a un automobilista; non sarà difficile capire che uno mangia, l’altro suona, l’altro guida. Se togliete invece lo smartphone a un utente, non si capisce cosa stia facendo; o, peggio, non si capisce perché sembri altrove rispetto a quello che fa. Senza gli smartphone, le persone appaiono occupate a leggere le linee della loro mano, come ipnotizzate dal niente. In un certo senso, queste foto sono i selfie della nostra solitudine.
«Corriere della sera» del 16 ottobre 2015

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