03 settembre 2015

Il nonno comandamento

di Massimo Gramellini
Gentile signor Furfaro, autista della linea 1 di Genova, a nome dell’associazione «Tengo famiglia» vorrei congratularmi per il premio Menefreghista dell’Anno da lei vinto con pieno merito. Ricorderò i fatti che hanno portato la giuria ad assegnarle il prestigioso riconoscimento. Saranno state le tre e mezza di notte sul suo autobus fermo al capolinea, quando dei bulli, aizzati dalla ragazza del capo, hanno ridotto in fin di vita a suon di sprangate un passeggero che avevano preso per gay.
Durante l’aggressione, lei è sceso a mangiare un panino. Tornando sull’autobus lo ha trovato sporco di sangue, ma ha pensato fosse birra: immagino birra rossa, irlandese. Interpellato dalla questura sulle ragioni del suo distacco dalle miserie terrene, ha spiegato di avere seguito l’aureo consiglio del nonno, quello di farsi sempre i fatti propri.
Forse lo ignora, ma il suo disinteresse assoluto per i destini di qualsiasi comunità diversa dalla «famigghia» di appartenenza si inserisce in una luminosa tradizione che percorre i secoli e i racconti di mafia, attraversa gli osti dei «Promessi Sposi» e passando da suo nonno e dal senatore Razzi arriva fino a lei. Se avesse affrontato la banda a mani nude sarebbe stato un eroe e a nessuno francamente si può chiedere tanto. Ma se avesse fatto una telefonata al 113, magari mentre aspettava che le farcissero il sandwich, sarebbe stato un cittadino. Troppa fatica.
«La Stampa» del 5 agosto 2015

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