30 settembre 2015

Fermiamo la "biblioclastia" una volta per tutte

La "biblioclastia"
di Giuliano Vigini
Le distruzioni dell'Is ripetono la lunga storia dei roghi di libri
Può apparire soltanto un particolare di poco conto di fronte all’ininterrotta sfilata di notizie e immagini dei massacri di vite umane compiuti dall’Is. Ma non lo è. Dopo che agli inizi dell’anno era stata bruciata la principale biblioteca della città irachena di Mosul, e distrutte o saccheggiate altre biblioteche, ora il nuovo califfato aggiunge orrore a orrore, passando al setaccio abitazioni private o sedi pubbliche per scovare i libri degli “infedeli” e farne uno scoppiettante falò. Così migliaia di libri, di contenuto religioso, ma anche scientifico e letterario (come si sa, non è meno violento l’odio jihadista per la scienza e la letteratura), rinnovano l’antico spettacolo dei roghi di libri, che spesso hanno cancellato la memoria storica di interi popoli. Mosul, Palmira e chissà quante altre località dell’Iraq o della Siria stanno conoscendo anche questo volto dei nuovi fanatismi, che colpiscono la cultura “deviata” e i luoghi che la conservano, a cominciare dalle biblioteche.
Tanti celebri film e libri – da Brave new world (1932) di Huxley a 1984 (1950) di Orwell a Fahrenheit 451 (1966) di Truffaut – ci hanno già in vario modo ricordato che l’intolleranza verso la cultura è un pericolo sempre in agguato, perché la barbarie non si stanca mai di rinnovarsi. Così anche oggi continua a levarsi un’interminabile e densa scia di fumo, senza delimitazioni di confini e latitudini, perpetuando una storia di secoli.
Non si sa esattamente quando questa triste storia sia cominciata, ma si ricorda che già Tebe era stata distrutta nel 1.358 a.C.; Ninive, rasa al suolo nel 612 a.C., e soprattutto Alessandria, incendiata nel 48 a.C.: formidabili biblioteche, indipendentemente dal numero di rotoli e documenti conservati, comunque molto cospicui. Che dire, poi, della fine di altre biblioteche antiche, come quelle di Tiro o di Pergamo, di Persepoli o Cartagine, di Gerusalemme o Antiochia, di Atene o Roma? La censura trasformata in vera e propria biblioclastia (ossia in odio persecutorio e distruttore di libri) trova già nell’editto (303) di Diocleziano giustificazione e impulso per altri scempi. Dal Concilio di Nicea (325) in poi, il divieto, la condanna, il sequestro e l’eliminazione di tanti scritti eretici, eterodossi e comunque giudicati nocivi o pericolosi per la fede e i costumi diventa una pratica abituale. Per non parlare poi dell’Inquisizione medioevale e moderna. Ma, per tornare al presente, anche la storia del Novecento presenta un teatro d’azione impressionante; dal Vicino Oriente all’Europa (Germania, Unione Sovietica, Cecoslovacchia, Polonia...), dalla Cina all’India, dal Cile all’Argentina, dal Messico alla Cambogia, dall’Iraq a Cuba, è tutto un susseguirsi di incredibili devastazioni, oltre a quelle legate agli eventi naturali (incendi, terremoti, alluvioni...).
Milioni e milioni di manoscritti, libri, documenti che non ci sono pervenuti per ragioni ideologiche o politiche, religiose o morali. Classici greci e latini, scritti cristiani e anticristiani, testi dell’ebraismo e dell’islam, opere di storia e documentazione (tra questi, anche tanti libri aztechi e maya) finiti nel nulla per la furia, la follia e, non ultima, l’ignoranza degli uomini. Un’ulteriore conferma che la libertà di pensiero e d’espressione è stata e resta ancora in molti luoghi della terra per alcuni un tabù inviolabile, per altri una speranza.
Purtroppo, tra l’inasprirsi e l’estendersi delle guerre (aveva forse ragione Chesterton che l’espressione “scoppiare la guerra” è impropria, perché la guerra è la condizione normale delle cose; è la pace che deve scoppiare) e l’acuirsi di tanti fenomeni di intolleranza religiosa e culturale rendono tale speranza molto più precaria. Ma per fortuna possiamo pur sempre contare su tante biblioteche nel mondo che continuano a testimoniare il valore insostituibile della loro presenza: quello che significa, cioè, conservare e valorizzare la memoria del passato e del presente, svolgere una funzione al servizio di un’umanità che vuole conoscere, imparare e ascoltare tutti coloro che desiderano parlarle.
«Avvenire» del 25 settembre 2015

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