27 agosto 2015

La bellezza che moltiplica lo sviluppo

Bello è possibile, ma anche strategico. La bellezza, connessa con la creatività e l’innovazione, può senz’altro contribuire a moltiplicare le opportunità di sviluppo
di Rodolfo Baggio e Vincenzo Moretti *
Bello è possibile. Per l’uomo la bellezza è un concetto di grande importanza in ogni ambito, compreso quelli considerati, da chi non li conosce a fondo, più freddi e razionali, come dimostra questa affermazione della cosmologa Janna Levin:“Una cosa che trovo particolarmente affascinante della scienza è che si tratta dell’ultimo ambito in cui le persone parlano seriamente della bellezza. […] Nella scienza resiste la meta dell’eleganza e della bellezza, perché, per ragioni che nessuno capisce completamente, è un criterio per distinguere il giusto dallo sbagliato. Se qualcosa è bello ed elegante, probabilmente è giusto”.
Gli esempi della relazione bellezza-scienza sono numerosi. Nel 1905 Einstein rivoluziona la visione del mondo nata due secoli prima con i Principia di Newton a partire dalla mancanza di simmetria delle equazioni di Maxwell sull’elettromagnetismo. E da analoghe considerazioni di bellezza, semplicità, simmetria e armonia parte Copernico nel De Revolutionibus Orbium Caelestium.
Oggi sappiamo che il comune apprezzamento per la bellezza e la creatività presente nella scienza e nelle arti ha anche una ragione fisiologica. Recenti studi sul funzionamento del cervello effettuati con la risonanza magnetica funzionale (fMRI) mostrano come una funzione importante sia svolta dai neuroni specchio che ci permettono di afferrare al volo ciò che accade, di provare empatia per le emozioni altrui e di imparare per imitazione. Come sostiene Morelli, l’analisi delle diverse forme di esperienza estetica mette in luce lo stretto legame fra l’essere umano e il mondo che lo circonda e la sua struttura, mediato dal principio di immaginazione.
La nostra tesi è che la bellezza – connessa con la creatività e l’innovazione – possa moltiplicare le opportunità di sviluppo. Vediamo di scoprire in che senso e perché.

Il processo creativo come processo sociale
Innovazione e creatività sociali si basano come sappiamo sul capitale umano, l’insieme di conoscenze, competenze, abilità, emozioni, acquisite da un individuo e dirette al raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi. Le interazioni tra persone che sono portatori di conoscenze e contributi diversi favoriscono creazioni migliori e più numerose. I fattori ambientali, i contesti, i frame, sono elementi cruciali per la creatività, come racconta Isacsoon nel suo “The Innovators”. In buona sostanza, essendo tali fenomeni processi sociali, possono essere pienamente compresi solo aggiungendo alle caratteristiche individuali la valutazione delle condizioni ambientali e degli effetti dei legami esistenti. Bourdieu estende questo concetto definendo il capitale sociale come “l’aggregato delle risorse reali o potenziali che sono collegate al possesso di una rete durevole di relazioni più o meno istituzionalizzate di conoscenza e riconoscimento reciproci”.
Qual è in definitiva la configurazione ideale per una visione sistemica che favorisca l’emergere di idee creative? La soluzione migliore sembra essere quella di una rete composta da una serie di comunità coese che facilitano scambi intensi, e che abbiano pluralità di collegamenti che favoriscono la condivisione di nuovi modi di vedere e di pensare, evitando così il rischio di eccessiva chiusura di una comunità connessa ma isolata perché bloccata su quanto circola al proprio interno.

Bellezza, creatività e innovazione
Nel processo che lega la creatività, base necessaria per l’innovazione, alla capacità di connettere elementi diversi, i fattori che maggiormente colpiscono la mente umana – come quelli estetici -, sono particolarmente favoriti. L’evidenza empirica che la bellezza aumenti le capacità di risoluzione creativa dei problemi è abbastanza solida ed è connessa alla struttura del cervello che controlla i processi di memoria, alla preparazione e alle competenze individuali.
Richard Florida sostiene che alla base di un ambiente favorevole alla creatività e allo sviluppo di innovazione stanno tre elementi: il talento individuale (formazione, competenze, esperienza), un ambiente tollerante e quindi multiculturale, e le infrastrutture tecnologiche necessarie. E Godoe allarga la prospettiva ridefinendo l’utilità economica che è alla base di molti modelli sulle dinamiche dell’innovazione, evidenziando gli elementi fondamentali in: fattori estetici (definiti come “il piacere e l’attrazione associati con la bellezza”), immaginazione, creatività e serendipity, che Merton definisce come “l’osservazione di un dato imprevisto, anomalo e strategico che fornisce occasione allo sviluppo di una nuova teoria o all’ampliamento di una teoria già esistente”.
In questo contesto l’innovazione gioca un ruolo determinante non solo nello sviluppo economico (sia a livello generale che a livello di singole organizzazioni) ma anche per il sistema sociale coinvolto; per quanto non sempre evidenziato si tratta di un aspetto di enorme portata dato che dal punto di vista sociale l’innovazione riguarda la soddisfazione dei bisogni non solo materiali ma anche di relazione, nonché i sistemi di governo (sia pubblici che privati) in grado di regolare l’allocazione di beni e servizi in modo da soddisfare entrambi, con tutto quanto ciò significa in termini di creazione di capitale sociale, creatività, cultura, cooperazione, solidarietà, diversità.

Bellezza e lavoro ben fatto
Qualsiasi lavoro ha senso e significato se è fatto bene. Senza un cambiamento profondo della cultura e dell’approccio al lavoro, a ogni livello, non è possibile cogliere, e dunque moltiplicare, le opportunità offerte dallo sviluppo della società digitale. Rispettare il lavoro e chi lavora, riconnettere il lavoro con la dignità, l’identità, il senso delle persone e delle strutture è oggi più che mai indispensabile per allungare l’ombra del futuro sul presente. Esiste una connessione anche etimologica tra l’idea di bello e quella di bene (il termine latino bellus è il diminutivo di una forma antica di bonus). La bellezza può essere insomma per l’Italia l’occasione (nel senso di tempo giusto, di kairòs) per cogliere le opportunità e moltiplicarle, per “fornire una diversa struttura portante” e ricollocare in “un nuovo sistema di relazioni reciproche” le parole, le idee, i concetti, le decisioni, le azioni finalizzate allo sviluppo.
Il messaggio è: ciò che va quasi bene non va bene; il lavoro ben fatto è la via per lo sviluppo culturale, sociale ed economico di qualità e come realizzazione di sé; le connessioni tra fare bene le cose e fare cose belle sono le chiavi per dare alle città intelligenti, resilienti, digitali, smart italiane caratteristiche e potenzialità senza eguali.
Il messaggio implica la necessità di ripensare le città, i territori, i distretti industriali, sociali, culturali italiani come tanti centri da riorganizzare, rigenerare, rivalorizzare alla luce delle opportunità offerte dall’Internet dell’energia e dall’Internet delle cose, e cominciare a farlo concretamente, valorizzando le risorse storiche, culturali, ambientali, naturali, produttive lì presenti.
In un mondo sempre più “condannato” a trovare il tratto distintivo, il vantaggio competitivo, il quid che un paese, un’istituzione, un’azienda posseggono in via esclusiva o comunque in misura superiore rispetto agli altri, fare bene le cose, fare belle le cose è la via per valorizzare il genius loci italiano e tornare a regalare al mondo cultura, innovazione, bellezza.

We have a dream
Baia di Napoli, anno di grazia 2065. Cinquant’anni dopo la costituzione delle aree metropolitane, l’antica Napoli appare trasformata dalla riconfigurazione intelligente dei rapporti tra gli esseri umani e le macchine prodotta dallo sviluppo e dall’uso consapevole delle tecnologie digitali. Il sogno di sperimentare un modello imperniato sulla bellezza come moltiplicatrice di opportunità – OxB = O2 -, come creatrice di senso, di ricchezza e di sviluppo (culturale, sociale ed economico), come valorizzazione del patrimonio umano, culturale e sociale disponibile, come promozione del senso civico e della cittadinanza attiva, è diventato realtà.
La città di Bacoli (Acropoli; Parco Archeologico; Castello Aragonese; Terme Romane; Resti Villa Romana Sottomarina; Sacellum; Tomba di Agrippina; Centum Cellae; Piscina Mirabile) che Baggio e Moretti (i due autori dell’articolo, ndr) utilizzarono nel 2015 come esempio di bellezza sprecata senza eguali al mondo, è oggi al primo posto nella graduatoria mondiale del turismo culturale di alta qualità.
Tra pochi mesi l’intera Baia di Napoli – da Sorrento a Monte di Procida passando per le aree agricole interne, i tre vulcani attivi e le isole di Capri, Ischia e Procida -, sarà proposta come buona pratica da imitare per attivare i necessari processi di isomorfismo. Ancora pochi anni e l’obiettivo di assicurare bellezza e prosperità a tutti gli italiani sarà stato realizzato.
Per ora è soltanto un sogno, ma l’equazione bellezza-lavoro ben fatto-creatività-innovazione-sviluppo sembra tenere, almeno in base al ragionamento qualitativo e logico-deduttivo seguito fin qui. In realtà più che di equazione bisognerebbe parlare di un sistema con un numero imprecisato di equazioni, dati i molteplici fattori che concorrono alla possibile soluzione: efficienza di infrastrutture fisiche, di comunicazione ed economico-finanziarie; struttura delle relazioni sociali ed economiche; efficacia dei sistemi di governo.
Valutare questi impatti non è cosa facile, anche perché le metriche per stimare questi fattori e le loro relazioni sono praticamente inesistenti. Un aiuto potrà venire probabilmente dall’utilizzo di tecniche di simulazione che consentono, come già avviene in molti campi, di costruire scenari possibili e analizzarne le conseguenze.
Su questo si può lavorare e si lavorerà in futuro. Per il momento speriamo di aver mostrato come l’equazione fondamentale alla base di un programma di ricerca di questo tipo sia ben fondata.

* Rodolfo Baggio, fisico con PhD in tourism management, è docente universitario e ricercatore: studia i sistemi complessi e le reti turistiche e le trasformazioni che le tecnologie informatiche hanno portato al turismo
Vincenzo Moretti, sociologo, lavora alla Fondazione Giuseppe Di Vittorio, dove si occupa di innovazione. Racconta l’Italia che rispetta il lavoro e chi lavora, che mette rigore e passione nelle cose che fa
«Il Sole 24 ore - sullp. Nòva» del 26 luglio 2015

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