18 gennaio 2015

I frutti del web sono di tutti, "ma ci vogliono nuove regole"

"La rete non deve essere selvaggia. Abbiamo bisogno di leggi. Basta che siano ragionevoli. Intervista al Lawrence Lessig, il padre dei Creative Commons: indica la via democratica a Internet
di Francesca De Benedetti
Sul caminetto di casa Internet c'è una fotografia. Con un uomo, Tim Berners-Lee, che di internet è il padre. E accanto a lui, in cammino tra le strade innevate del New Hampshire, Lawrence Lessig. Accademico di spicco, Lessig insegna legge all'università di Harvard, dove dirige l'Edmond J. Safra Center for Ethics, mentre a Stanford ha creato il Center for Internet and Society. Ma, per il mondo, Lawrence Lessig è innanzitutto il fondatore delle licenze Creative Commons, l'intellettuale della "Free culture" (da cui il titolo di uno dei suoi libri più famosi), l'avvocato che si è speso perché la Rete realizzasse un'opportunità di democratizzazione della conoscenza e di produzione creativa. Nella foto di famiglia non si vede, ma è come se ci fosse, Aaron Swartz, il "genio" della Rete, l'attivista per la conoscenza libera, morto suicida proprio due anni fa, l'11 gennaio 2013. Collaborò con Lessig ai Creative Commons quando era appena adolescente, e il professore non ha dubbi: è anche per la combattività che gli ha trasmesso quel ragazzo che lui, a cinquantatré anni, con un passato da giovane repubblicano alle spalle, si è messo in testa che il mondo bisogna provare a cambiarlo alla radice. Gli ha dedicato la sua "marcia ribelle" contro la corruzione, la "NHRebellion". Già, perché negli ultimi anni il professore sta concentrando la sua battaglia soprattutto contro il sistema dei "Pac" (Political action committee), finanziamenti privati che condizionano la politica americana.

Professor Lessig, da quel 2001 in cui lei fondò Creative Commons la cultura digitale è diventata più aperta e democratica oppure no?
"Devo dire che il movimento a difesa della conoscenza aperta è maturato molto, raggiungendo vittorie impensabili prima. Un esempio? Proprio Grazie a Aaron Swartz siamo riusciti a fermare Sopa (Stop Online Piracy Act: la proposta di legge per irrigidire la normativa sul copyright, ndr). Ma la politica subisce ancora troppe pressioni, ed è per questo motivo che vedo come prioritaria in questo momento la lotta contro la corruzione. Semmai la cultura politica, quella sì, è sicuramente cambiata e i progressi nella direzione di una cultura più libera sono evidenti. I giovani hanno raccolto l'opportunità dirompente che la tecnologia offriva loro. Opportunità di creare, di essere coinvolti, di partecipare".

Intanto però è la tecnologia che non smette di cambiare noi e il nostro modo di vivere. L'"internet delle cose", l'iperconnessione, la raccolta e l'analisi massiccia di dati: nuove sfide non richiedono nuove regole?
"La sfida è trasformare un mondo con regole folli in uno con leggi ragionevoli. Perché la soluzione non è una Rete sregolata, ma regolata da leggi che tengano conto dell'impatto di una tecnologia in continua evoluzione sulla società. Il mercato va mantenuto aperto e competitivo. Solo così possiamo assicurarci che la tecnologia non diventi uno strumento per mettere a rischio e minare i fondamenti sociali e democratici che le leggi stesse dovrebbero tutelare".

Ai tempi dei Creative Commons lei denunciò che l'accesso alla cultura era condizionato da poteri privati e leggi inadeguate. La difesa a oltranza della proprietà intellettuale avrebbe impedito di cogliere appieno le opportunità della Rete. Ma ora sul copyright si gioca anche uno scontro tra industrie culturali di vecchia e nuova generazione, come nel caso di Google News. La Silicon Valley di Google e di Facebook è amica, nemica oppure falsa amica della cultura libera?
"Finché cerca di garantire ampio accesso alla conoscenza, possiamo anche definirla amica. Ma Google e Facebook sono pur sempre aziende. Se fare soldi li porterà altrove, non avranno alcun interesse a garantire la cultura libera. Per tutelare la libertà dobbiamo rimanere vigili. L'ombra del monopolio c'è ed è significativa, in termini economici ma anche politici: i monopoli influenzano le decisioni politiche. Un mercato competitivo è fondamentale ".

Le corporation da una parte, i governi con la sorveglianza di massa dall'altra: da entrambi i fronti la nostra privacy sembra minacciata. Lei crede che i valori democratici siano a rischio per un eccessivo controllo della Rete, oppure no?
"Uno degli sviluppi più preoccupanti degli ultimi dieci anni è proprio questo. Guardiamo cosa è successo in America: col terrorismo e il diffondersi del panico il governo ha compromesso e indebolito le strutture portanti della Rete e il risultato paradossale è che così facendo l'ha fatta diventare meno sicura. In altre parole ciò che consente al governo di sorvegliare massicciamente ha anche reso più facili gli attacchi cinesi e nordcoreani. Con la giustificazione della lotta al terrore, il governo ha imbastito un sistema di sorveglianza impensabile prima, facilitando un controllo estremo. Difficile tornare indietro, ma necessario: la sicurezza non può compromettere la privacy e i diritti fondamentali".

Obama ha preso posizione per la " net neutrality ", cioè perché internet rimanga uguale per tutti e non diventi una Rete a due velocità che discrimina tra ricchi e meno ricchi. Fa bene il governo a intervenire?
"Sì, deve intervenire. Quella della "libertà selvaggia" è un'illusione. Perché internet rimanga davvero aperto e consenta la concorrenza è necessaria un'azione di governo. La scelta di Obama è incoraggiante, vedremo cosa succederà a febbraio quando anche la Fcc (la Commissione governativa sulle comunicazioni, ndr ) voterà, ma i segnali sono positivi".

L'europarlamentare del Partito Pirata, Julia Reda, incaricata di elaborare il testo della futura riforma europea del copyright, proprio dopodomani presenterà la sua bozza. Su questo tema, secondo lei, la direzione che sta prendendo il Vecchio continente è quella giusta?
"Il dibattito europeo è molto incoraggiante. Il Partito Pirata e il parlamento Ue stanno svolgendo un ruolo importantissimo nell'aprire e nello strutturare la discussione sul copyright, oltre che nell'arginare i monopoli. In America questo non è avvenuto, mancano nelle istituzioni gruppi così strutturati che cerchino di limitare il potere dei colossi. Avete una grande opportunità. Allo stesso tempo però anche l'industria culturale in Europa, e in particolare in Francia, è estremamente potente: condiziona il modo in cui la legge si evolverà, tende a difendere rigidamente princìpi pensati nel secolo scorso. La vera sfida invece è pensare alle regole del futuro in termini evolutivi, proiettandosi nel mondo che sarà. Sono speranzoso che in Europa coglierete questa sfida".
«la Repubblica» del 18 gennaio 2015