29 luglio 2014

Se il cosmo è una caverna di Platone

Scenari
di Andrea Vaccaro
Certe idee filosofiche non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano. Pensiamo all’intuizione platonica del 'mito della caverna' secondo cui il mondo nel quale viviamo è solo un’ombra, scialba e fallace, della vera realtà. L’idea, che è fondamentale nella cultura induista incentrata sul concetto di maya (illusione), ricompare nel dubbio iperbolico cartesiano, nel mondo come rappresentazione di Schopenhauer e in varie forme di fenomenismo e fenomenologia.
Alla metà degli anni Novanta, Karl Popper, con pungenti pamphlet, avvertì del pericolo incorso dalla nuova umanità di una più morbida caverna, dove le catene arrugginite erano sostituite da poltrone e sofà e l’oscuro muro riflettente dal rutilante schermo televisivo su cui scorre solo la parziale parvenza di ciò che realmente accade. Epoca che vai, tecnologia che trovi. Nel primo decennio del 2000, imbattendosi sempre più raramente in caverne e avendo il computer superato in pervasività la tv, ecco che l’idea si ripresenta con coloriture molto peculiari. Nel 2003, il poco più che quarantenne filosofo svedese Nick Bostrom, docente a Oxford, con Stai vivendo in una simulazione al computer?, pubblicato sul prestigioso 'Philosophical Quarterly ', sfida il mondo a confutare il suo cosiddetto Simulation Argument per cui l’umanità crede, sì, di vivere in una realtà effettiva mentre, in realtà (è proprio il caso di usare questa espressione), si muove solo in uno scenario simulato da qualche Programmatore nettamente 'più evoluto'. L’argomento, molto dibattuto e più volte aggiornato, poggia, empiricamente, su quelle straordinarie invenzioni che sono i programmi di simulazione cosmologica e sulla convinzione che molto presto sarà possibile, e neppure troppo arduo, simulare nel dettaglio la vita del nostro cosmo e di tutti i suoi abitanti. Raggiunto questo livello tecnologico, la programmazione di 'cosmi possibili' sarà letteralmente un gioco da ragazzi, non escludendo, infatti, che questo possa passare nell’ordine dei video-giochi. I cosmi virtuali prolifereranno enormemente. Allora, conclude la provocazione di Bostrom, è più probabile per il nostro mondo e per noi stessi pregiarsi di essere quella prima civiltà capace di 'costruire virtualmente' altri universi oppure rassegnarsi a essere gli abitanti di uno di quei mondi virtuali e programmati?
Considerato che il mondo originale è uno e quelli simulati sono milioni, lo scarno calcolo statistico, per noi, risulta praticamente impietoso. Finché si tratta di speculazioni filosofiche, tutto questo rimane tollerabile, perché, come si sa, i filosofi amano 'pensare strano', ma il problema è che, adesso, ci si mette anche la scienza. Infatti, più o meno influenzati dall’argomentazione di Bostrom, nonché da altri non trascurabili fattori (soprattutto quantistici), uno stuolo di fisici teorici (che qualcuno chiama 'i nuovi metafisici') ha studiato scientificamente l’ipotesi dell’Universo come simulazione, con esiti poco rassicuranti per il pensiero 'normale'.
L’autorevolezza non manca in questa singolare indagine. Il cosmologo John Barrow, docente a Cambridge e vincitore del premio Templeton, è intervenuto con un possibilista Vivere in un Universo simulato; il fisico teorico dell’Università di Vienna Karl Svozil si è presentato al Simposio su 'Fisica e simulazione' a Linz nel 2003 con l’intervento-domanda: «Supponi di essere Dio: come avresti fatto?» e l’inaspettata risposta «non guardare troppo lontano: la soluzione può essere nel tuo desktop»; il collega Bernard D’Espagnat, altro vincitore del Templeton Prize, recupera in pieno l’intuizione platonica e assume la formula 'realtà velata', percepibile solo nella misura in cui si è capaci di andare oltre ciò che appare. Intanto, il docente di 'tecnologia sociale' all’Università di Auckland, Nuova Zelanda, Brian Whitworth sta adottando tutte le tattiche persuasive per convincere a considerare Il mondo fisico come una realtà virtuale.
L’elenco di simili attestazioni sfocia nella notizia piuttosto recente di uno studio internazionale (S. Beane, Università di Bonn, Z. Davoudi e M. Savage, Università di Washington) che ha trovato il modo di testare scientificamente l’idea. Ad alimentare il dibattito, poche settimane fa, il filosofo Eric Steinhart pubblica on line la sua riflessione Le implicazioni teologiche sull’Argomento della simulazione. Sì, perché, com’è facile intuire, l’ipotesi di vivere in una realtà apparente fa scattare la domanda intorno alla vera realtà e al necessario Autore della presunta simulazione. E, così, mentre Steinhart, sulla base dell’ipotesi di Bostrom, scomoda confronti con le classiche argomentazioni sull’esistenza di Dio di Agostino (i gradi di perfezione), Tommaso (le prove cosmologiche) e soprattutto Leibniz (Sull’origine radicale delle cose), ecco che uno stretto collaboratore dello stesso Bostrom, parimenti non-religioso, ovvero David Pearce, prende le distanze dalla tesi dell’amico proprio perché essa finisce per diventare, suo malgrado, «la prima interessante dimostrazione dell’esistenza di Dio in duemila anni di storia». Anche il divulgatore scientifico Matthew Francis, in un’intervista su Aeon Magazine (21.1.2014), confessa: «Viviamo in una simulazione? Il mio istinto dice no, proprio perché non voglio credere nell’esistenza di un’Intelligenza che programma un mondo per gli esseri umani e vi introduce intenzionalmente la sofferenza». Il suo articolo si intitola Questa vita è reale? Antichi e nuovi motivi si incontrano; filosofia, scienza e teologia continuano a richiamarsi vicendevolmente nel comune intento di comprendere il mistero della realtà. Più di duemila anni di ricerche hanno donato notevolissimi frutti, eppure rimane forte ancora, in molti sensi, il presentimento di vedere come in uno specchio (opaco) e per enigma.
«Avvenire» del 27 luglio 2014

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