24 luglio 2014

Grecia, 24 luglio 1974: la democrazia tornò a casa

di Antonio Ferrari
La crisi della dittatura militare era cominciata da alcuni mesi, e le crepe erano sempre più evidenti. I greci sentivano che la riconquista della libertà non era lontana. Era più di una speranza. Era quasi una certezza. Ma soltanto il 24 luglio del 1974, quando atterrò all’Ellenikon, sulla pista ateniese accarezzata dal mare, l’aereo che riportava in patria dall’esilio parigino Konstantin Karamanlis, tutti capirono che si stava concludendo il settennato della vergogna e che l’incubo era finito. Chi aveva denaro si procurò lo champagne e scese in strada per condividerlo con chi incontrava; chi aveva meno denaro si ubriacò con l’assai più economico ouzo. Le ragazze indossarono finalmente la minigonna, che i golpisti ultraconservatori avevano osteggiato. La gente, sulle piazze, cantava e ballava, ebbra di gioia. La democrazia, finalmente, tornava a casa. La casa dove era nata, dove era cresciuta, dove era stata torturata, vilipesa, umiliata, ma sempre risorta. Ai piedi dell’Acropoli di Atene, un popolo ritrovava la felicità.

Determinazione
Popolo fiero, quello greco. Fiero e consapevole della propria determinazione. Noi italiani lo avevamo capito in ritardo, anni prima, dopo che Mussolini e Ciano- nel 1940- avevano deciso di invadere il Paese che, in quel momento, era guidato da Ioannis Metaxas, il quale in realtà era un ammiratore del fascismo e del duce. Attaccammo la Grecia, cinque volte più piccola dell’Italia, e per evitare la nostra disfatta Hitler fu costretto a dirottare una parte dei suoi soldati per scongiurare il rovinoso crollo dell’alleato. Nonostante gli articoli insultanti, che sul Corriere della Sera scrisse l’inviato speciale Curzio Malaparte, definendo i greci “inaffidabili, meticci e assai imbastarditi”, furono proprio i greci a soccorrerci dopo l’8 settembre del 1943, quando i tedeschi rivolsero le armi contro gli ex alleati italiani.

Guerra civile
Alla fine della guerra, a Jalta, durante il vertice che ridisegnò il mondo dei vincitori, la Grecia rimase nell’area di influenza occidentale, ma nel Paese cominciò una devastante guerra civile, durata fino al 1949, in sostanza tra anticomunisti e comunisti. Si allargava il fronte della miseria e della fame. Ed è proprio il lascito di quegli anni ad accentuare le tensioni che avrebbero poi portato a tre pericolose derive: una cronica instabilità politica, la scarsa credibilità dell’inadeguato Costantino, diventato re nel ’64, e la violenza dilagante.

Il caso Lambrakis
La tenuta sociale era ad altissimo rischio, con le scorribande di neofascisti pilotati da servizi segreti deviati. Illuminante il caso del deputato di un partito della sinistra, Grigoris Lambrakis, che fu ucciso dagli estremisti di destra a Salonicco. La sua storia, raccontata in un libro da un grande intellettuale greco, Vassilis Vassilikos, diventò un film di straordinario successo, “Z, l’orgia del potere”, firmato da un regista greco naturalizzato francese: Costa-Gavras. Il film, interpretato da Yves Montand, Jean-Luis Trintignant, Irene Papas e Renato Salvatori, fu distribuito, nelle sale cinematografiche di numerosi Paesi europei, all’inizio della dittatura dei colonnelli, cominciata il 21 aprile del 1967. Creando quindi una certa confusione sui tempi, ma documentando quale fosse il clima del Paese e quali fossero le forze che avevano agito per provocare l’umiliante disastro.

Torture
La gente scoprì che era stato fatto un golpe perchè le radio statali erano diventate mute, a parte una. La sola emittente autorizzata (ovviamente quella militare) trasmetteva marce patriottiche e comunicati con le disposizioni della giunta. Occupati il ministero della difesa e il palazzo del governo. Carri armati per le strade. Arrestati tutti i leader politici. Diecimila oppositori (o sospettati di esserlo) in carcere, e molti di essi brutalmente torturati. Karamanlis, dopo la sconfitta alle elezioni del 1963, era andato in esilio a Parigi. I tentativi del primo ministro centrista Gheorghios Papandreou, padre e nonno di due futuri premier (il figlio Andreas e il nipote George), erano stati sviliti da incertezze politiche e dall’atteggiamento altalenante del neoeletto e impreparato re Costantino, grande velista ma incerto condottiero. Anzi, grandissimo velista (vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma del 1960 per la classe “Dragoni”) e assai discutibile sovrano.

I fascisti italiani
I sette anni di vergogna nazionale cominciarono dunque il 21 aprile 1967. Il golpe fu sostenuto (c’è chi dice suggerito) dalla Cia. Il tentativo di ammazzare il tiranno, il colonnello Papadopolos, capo della giunta militare, fallì. Tra gli organizzatori dell’attentato Alekos Panagulis, arrestato assieme agli altri cospiratori, imprigionato, torturato fino al giorno del rilascio. Panagulis, di cui si innamorò Oriana Fallaci dedicandogli il libro “Un uomo”, morì in uno strano incidente stradale nel 1976. Basta rileggere i giornali dell’epoca per comprendere perchè furono subito tracciati accostamenti tra i golpisti greci e l’estrema destra italiana, inquinata dai servizi deviati. Non soltanto per gli elogi ai colonnelli di Atene da parte dei leader neofascisti del Msi (Movimento sociale italiano), ma perchè nel frattempo era esploso lo scandalo dei fascicoli del “Sifar”, con la scoperta del “Piano Solo”, progettato dai golpisti del generale De Lorenzo. Due grandi giornalisti dell’”Espresso”, Lino Jannuzzi e Eugenio Scalfari, avevano denunciato le mire dei cospiratori. In effetti, come poi si lesse anche sul New York Times, i colonnelli greci avevano dato esecuzione al piano “Prometeo”, approntato dalla Nato in chiave difensiva, da attuarsi in caso di invasione comunista. In realtà ad Atene il cosiddetto pericolo comunista non esisteva più: era un pretesto. L’obiettivo dei colonnelli era infatti semplice e brutalmente prosaico: la conquista del potere e l’assassinio della democrazia. L’accostamento tra Italia e Grecia, a quel punto, era evidente: lo stesso “Prometeo” era alla base del “Piano Solo”, con tanto di lista dei nemici da arrestare e neutralizzare. In Grecia fu attuato, in Italia fu fermato quando era già in dirittura d’arrivo, come tanti altri tentativi di golpe.

Personaggi inquietanti
Bisogna poi ricordare che vi era una gran numero di neofascisti italiani alla corte dei colonnelli greci. E che non fu ritenuta casuale una presenza illustre e quasi imbarazzante. L’addetto militare dell’ambasciata d’Italia ad Atene, in quel 1967, era il generale Gianadelio Maletti, che poi sarebbe diventato capo dell’Ufficio D del “Sid”, e che fu coinvolto nei vari depistaggi a cominciare dalle inchieste sulla strage di piazza Fontana. Maletti, alto ufficiale molto vicino a Giulio Andreotti, interrogato in Sudafrica dalla Commissione stragi, si difese negando ogni rapporto con la giunta. Sostenne infatti d’aver inviato a Roma dalla sua postazione ateniese, sin dal gennaio 1967, rapporti allarmati sul rischio di un golpe. Ma ciò non toglie che proprio in quei mesi, nella capitale greca, si muovessero personaggi interessanti e inquietanti, come Stefano Delle Chiaie e Guido Giannettini. Entrambi estremisti di destra: il primo, coinvolto in molte inchieste sulla stragi italiane, arrivò ad Atene nel primo anniversario del golpe dei colonnelli con un “gruppo di studio” creato da Pino Rauti, giornalista del “Tempo” di Roma e anima nera del neofascismo intellettuale. Il secondo è ritenuto il padrino e l’ideatore del “profilo teorico” della strategia della tensione. In sostanza, erano i cattivi maestri dell’eversione nera italiana.

L’errore cipriota
Il re di Grecia Costantino, che disse d’aver tentato un contro-colpo di stato (fallito subito) per salvare il Paese, in realtà fece assai poco. La prima vera spallata ai golpisti la diedero gli studenti del Politecnico di Atene nel novembre 1973. Alla fine scattò la brutale repressione dei colonnelli, con l’attacco dei carri armati e l’assassinio di 24 giovani. Gli universitari avevano uno slogan: “Pane, educazione e libertà”. Sentivano che il loro esempio e il loro sacrificio sarebbero stati decisivi. Si può poi dire che la spallata finale alla giunta se la diedero gli stessi golpisti, per stupidità politica e strategica, trasferendosi alla conquista di Cipro, nella speranza di raccogliere il consenso dei nazionalisti greci, molti dei quali consideravano l’isola come terra ellenica. Insomma, tentarono di fare a Nicosia quel che anni dopo fecero i golpisti argentini del generale Videla, mandati velleitariamente a riconquistare le isole Malvinas (che per i britannici sono le Falkland, dove sventola l’Union Jack), e provocando il vittorioso intervento della Royal Navy. A Cipro, la destituzione dell’arcivescovo Makarios, che era riuscito nel miracolo di garantire una saggia sintesi politica tra le varie componenti della comunità, e il colpo di stato militare esportato da Atene, provocarono l’intervento della Turchia, che occupò militarmente la parte nord-orientale dell’isola di Afrodite.

Tragedie e sorrisi
La caduta della giunta greca divenne inevitabile e quasi fulminea: si realizzò in tre giorni. Il ritorno alla democrazia fu salutato con due grandi vittorie politiche. Alle elezioni vinse il centro destra di Nuova Democrazia, fondata e guidata da Konstantin Karamanlis, rientrato dall’esilio; e al referendum per confermare la fine della monarchia (abolita da Papadopoulos, che si era fatto eleggere presidente) trionfò la repubblica. Una terza vittoria Karamanlis l’ottenne poco dopo, aprendo al suo Paese la strada europea con l’ingresso nella Cee. Vi sono poi due episodi, uno nobile e l’altro divertente, che possono essere la sintesi di quegli anni tribolati. Nell’inverno del 1999, il presidente degli Usa Bill Clinton scese ad Atene dopo la guerra per il Kosovo, che aveva visto la maggioranza del popolo greco schierata con i serbi. Il risentimento nei confronti degli americani era al punto più alto. Clinton difese l’intervento militare della Nato contro Belgrado, ma poi, con onestà e voce contrita, chiese scusa alla Grecia per le colpe del suo Paese nella vicenda del colpo di stato dei colonnelli. L’altro episodio l’ha raccontato in un libro Vassilis Vassilikos. Pochi giorni dopo il golpe di Atene, l’autore di “Z, l’orgia del potere”, si trovava a Roma e stava bevendo un caffè davanti al Pantheon con in mano la copia di “Le Monde”. Scoprì, con grande sorpresa, che i più grandi intellettuali francesi, a cominciare da Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, avevano firmato uno sdegnato appello per chiedere la sua liberazione. “Ma io non sono stato arrestato! Mi trovo in Italia”, disse Vassilikos, parlando al telefono con un dirigente della sua casa editrice francese, Gallimard. Gli spiegarono che Sartre e la de Beauvoir avevano un elenco prestampato di intellettuali, pronti a firmare qualsiasi appello deciso dalla celebre coppia. Anche nelle tragedie c’è sempre l’occasione di concedersi un sorriso.
«Corriere della sera» del luglio 2014

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