17 maggio 2014

Così la Rete ci ha rubato l'oblio

Viktor Mayer-Schönberger: in Internet si lascia sempre traccia, le informazioni sfuggono al controllo
di Carlo Formenti
Il digitale sovverte il principio biologico per cui dimenticare è necessario
Il dibattito sulla «rivoluzione digitale» contrappone discontinuisti e continuisti: da un lato, coloro che ritengono che le trasformazioni tecnologiche degli ultimi decenni inaugurino una nuova era, dall' altro coloro che negano si possa parlare di salto di civiltà. Il discontinuista Viktor Mayer-Schönberger - in questo saggio dal titolo Delete. Il diritto all' oblio nell' era digitale - avanza una tesi radicale: l' avvento del digitale ha sovvertito il principio millenario secondo cui dimenticare è la regola e ricordare l' eccezione. L' oblio è una necessità biologica: se il cervello non compisse un feroce lavoro di selezione, pescando le informazioni da registrare dalla marea di dati che sommerge i nostri sensi, non potremmo agire. Ricordare, al contrario, è attività «artificiale» e costosa: sia in termini energetici - sfida la seconda legge della termodinamica - sia in termini di risorse economiche. Eppure il gioco vale la candela: ricordare rende la vita più facile e sicura, permettendoci di accedere al know-how che soggetti lontani nello spazio e nel tempo hanno acquisito con l' esperienza. Per questo abbiamo sviluppato le tecniche di «esteriorizzazione» della memoria: dal linguaggio orale, che ci ha consentito di prevalere sui neanderthaliani, alla scrittura, che attraverso i secoli si è evoluta - grazie alla stampa - da strumento di ristrette élite a prodotto di massa, fino ai moderni media elettrici, che hanno impresso una poderosa accelerazione al processo di costruzione di una memoria condivisa. Queste tecniche hanno moltiplicato la capacità di memoria ma non hanno risolto il problema dei costi: l' invenzione della stampa risale al XV secolo, ma solo nel primo Novecento i prezzi dei libri sono scesi tanto da consentire una crescita significativa del numero dei lettori; le tecnologie elettroniche hanno moltiplicato la massa di informazioni disponibili, ma hanno anche fatto crescere i costi per selezionarle. Ebbene, le tecnologie digitali hanno cambiato tutto in pochi decenni: oggi è possibile duplicare all' infinito testi, immagini, suoni eccetera a costo zero, senza che le copie subiscano alcuna perdita di qualità. L' informazione analogica richiedeva, per essere condivisa, una pletora di apparati specializzati, quella digitale viene prodotta e distribuita da un' unica macchina «tuttofare»: il computer, o meglio, i milioni di computer interconnessi che costituiscono un' unica macchina planetaria. La memoria sociale condivisa si dilata mostruosamente e diviene universalmente accessibile, il che - unitamente al crollo dei costi di memorizzazione - fa sì che l' antico equilibrio venga sovvertito: ricordare diventa la norma, dimenticare l' eccezione. Prima lo sforzo necessario a ricordare funzionava da filtro, oggi lo sforzo - e quindi il filtro - non esistono più: ci possiamo permettere di sperperare enormi risorse computazionali e di archiviazione, perché per estrarre quello che di volta in volta ci serve da questo ben di Dio basta digitare una domanda e aspettare la risposta del motore di ricerca. Tutto bene? Non proprio. Ricordare, ammonisce Schönberger, può essere una maledizione: il protagonista di un racconto di Jorge Luis Borges, Funes. O della memoria, ricordando ogni istante della propria vita, vive in uno stato di totale passività, immerso in un flusso mnemonico che ne inibisce il desiderio di agire. Forse la memoria digitale non provocherà effetti così devastanti - almeno finché saremo in grado di decidere se e quando tuffarci nel mare dei dati, ma ciò non toglie che l' esistenza stessa di una memoria globale, in cui tutti gli eventi si appiattiscono in una sorta di eterno presente, produca una perdita di prospettiva storica. Né meno grave, secondo Schönberger, è la leggerezza con cui rinunciamo a tutelare la riservatezza dei nostri dati personali, lasciandoci trascinare nell' orgia dello scambio di informazioni con «amici» reclutati sui vari social network, senza riflettere sul fatto che, una volta condivise, le informazioni sfuggono al nostro controllo. La conseguenza più grave di simili atteggiamenti è la perdita di quel diritto non scritto all' oblio che fino a ieri garantiva a ogni essere umano di «ridisegnare» periodicamente la propria identità. Le persone evolvono: il carattere matura con l' età, le esperienze inducono a cambiare convinzioni e comportamenti; il fricchettone diventa un impiegato modello, il tossicodipendente riprende una vita normale, l' imprenditore fallito avvia inedite attività di successo, ecc. Ma cosa succede se i «peccati» vengono registrati in una memoria destinata a durare eternamente? Si prospetta un futuro incapace di perdonare perché non può dimenticare. Lo confermano i casi sempre più frequenti di licenziamenti, incarichi negati, carriere rovinate perché qualcuno ha avuto la pessima idea di pubblicare informazioni «compromettenti» sul proprio blog o sul profilo di un social network. A conclusione di questa riflessione sul destino dell' oblio nell' era di Internet, Mayer-Schönberger prova a suggerire possibili contromisure. Scartata l' irrealistica soluzione dell' astinenza digitale (senza le nuove tecnologie è ormai impossibile svolgere qualsiasi attività professionale), accantonata la tesi dell' adattamento (troppo elevato il differenziale di velocità fra innovazione tecnologica ed evoluzione culturale), verificati i limiti del diritto (le leggi sulla privacy sono di difficile applicazione e spesso ignorate dagli stessi soggetti che dovrebbero proteggere), Schönberger propone un' alternativa: perché non attribuire una data di scadenza a tutte le informazioni? Quando salviamo un file, potremmo stabilirne la durata, ordinando al software di cancellarlo alla scadenza: una «resurrezione artificiale» dell' oblio che limiterebbe significativamente la quantità di informazioni che governi e imprese detengono su cittadini e consumatori. Ma se l' informazione è condivisa fra più soggetti, fissarne la data di scadenza implica una trattativa fra gli interessati, per cui si ripropone il nodo dei rapporti di forza: chi è in grado di far pesare di più i propri interessi? Per concludere: gli automatismi tecnologici arrivano fino a un certo punto, al di là del quale il tema dell' oblio assume necessariamente connotati politici.

Simboli
Ray Tomlinson nel 1971 elaborò un programma che permetteva a coloro che frequentavano le università americane collegate tramite Arpanet di scambiare messaggi. Nel '72 usò il simbolo @ come separazione tra il nome del destinatario e il server.

L'analisi
Il diritto di cambiare la propria vita rimuovendo il ricordo degli errori commessi L'articolo di questa pagina è una sintesi della prefazione al libro Delete. Il diritto all'oblio nell'era digitale (in libreria da oggi per i tipi di Egea, sigla editoriale dell' Università Bocconi, pp. 191, 19) dell' austriaco Viktor Mayer-Schönberger. Consulente dell'Unione Europea, imprenditore (ha fondato una società di software), a lungo docente alla Kennedy School of Government di Harvard, Mayer-Schönberger è direttore dell' Information and Innovation Policy Research Center dell' Università di Singapore. Autore di saggi e considerato esperto di livello mondiale di politica ed economia dell' informazione, in questa sua ultima opera (l'edizione originale è uscita meno di un anno fa) affronta un tema di importanza cruciale, da qualche anno al centro dell' attenzione dei Garanti per la protezione dei dati personali in Europa e negli Stati Uniti: come possiamo controllare la nostra immagine pubblica in un mondo che - a causa dell' eccesso di trasparenza provocato dalle tecnologie digitali - rischia di negarci, assieme al diritto alla privacy, anche il «diritto all' oblio», vale a dire quelle regole non scritte che, fino a pochi anni fa, consentivano a chiunque di «rifarsi una vita», riscattando il ricordo di eventuali errori commessi in un passato più o meno lontano.
«Corriere della Sera» del 17 marzo 2010

2 commenti:

Stampa online ha detto...

Incredibile tecnologia, senza alcun dubbio! È spiegato tutto molto bene.

Anonimo ha detto...

Suggerirei di vedere il film "Facebook Follies", se lo proiettassero nelle scuole sarebbe una bella idea.
Ciao, Margherita