15 febbraio 2014

Droga, sentenza ed esagerazioni

La Fini-Giovanardi "cancellata" dalla Consulta
di Danilo Paolini
Più volte abbiamo documentato, sulla base di evidenze scientifiche, che non esistono droghe classificabili come "leggere". Tanto più oggi, che i processi di modificazione genetica consentono ai boss dello spaccio internazionale di immettere sul mercato marijuana e hashish con un principio attivo più forte rispetto ai tempi dei "figli dei fiori". È utile partire da qui per commentare la sentenza con la quale ieri la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima una parte della legge cosiddetta Fini-Giovanardi. Già, perché la valanga di reazioni positive e perfino festanti che ha accolto la decisione della Consulta potrebbe far confondere le origini con le conseguenze della stessa. I giudici costituzionali, su ricorso della terza sezione penale della Cassazione, non hanno infatti stabilito che la produzione, la detenzione e la cessione di sostanze "leggere" e "pesanti" vanno punite in maniera diversificata. Questa è una delle conseguenze pratiche del verdetto, causa la reviviscenza di alcune norme della precedente legge Jervolino-Vassalli.
Ma in realtà, sotto il profilo giuridico, la Corte ha "bocciato" il legislatore di allora, per avere inserito commi non omogenei per materia nella legge di conversione di un decreto nato in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino del 2006. Il fatto è che le due norme impugnate dalla Cassazione (tra le tante relative alle droghe) riguardavano proprio la classificazione delle sostanze, quindi il bersaglio era dichiarato e il difetto di forma è stato solo il dardo giuridico per centrarlo. Anche perché, a leggerlo con le lenti della coerenza delle materie trattate, quel decreto (e molti altri...) sarebbe quasi per intero a rischio di incostituzionalità. Spacciare stupefacenti, comunque, resta un reato ed è ardito affermare che l’Italia ha compiuto un passo verso la legalizzazione delle droghe "leggere".
Eppure è proprio ciò che hanno fatto ieri alcuni politici. Eppure c’è chi ha gridato «finalmente!» perché «non si può andare in carcere per uno spinello». Come se le celle fossero piene di gente pizzicata con «uno spinello». Come se non esistesse la sentenza della Cassazione di un anno fa (a sezioni penali unite) sull’«irrilevanza penale» del consumo di gruppo o le numerose altre, della stessa suprema Corte, che hanno via via esteso il concetto di «uso personale» di stupefacenti quasi all’inverosimile. Ci sono poi limiti impossibili da oltrepassare con la sola discrezionalità del giudice, perciò si fa ricorso alla forma per ricavarne la sostanza. Per intenderci, il caso da cui ha preso le mosse la sentenza di ieri è quello di un signore condannato a 4 anni di reclusione perché trasportava 3 chili e 800 grammi di hashish. Un po’ troppi per un solo spinello.
«Avvenire» del 13 febbraio 2014

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