24 settembre 2013

“La legge sull’omofobia? Come i processi di Mao”

Parla Scruton
di Giulio Meotti
“Si sta creando una neolingua come contro l’anticomunismo ai tempi della Guerra fredda. Una lingua di legno”
“George Orwell ha già detto tutto nei suoi famosi ‘due minuti di odio’ del romanzo 1984”, dice al Foglio il filosofo e commentatore inglese Roger Scruton. “La questione omosessuale è complicata e difficile, ma non puoi imprigionare il pensiero con leggi sulla cosiddetta ‘omofobia’ come quella al Parlamento italiano, che altro non è che la criminalizzazione della critica intellettuale sul tema del matrimonio gay. E’ un nuovo crimine intellettuale, ideologico, come lo fu l’anticomunismo durante la Guerra fredda”.
Settantenne docente di Filosofia alla St. Andrews University, autore di trenta libri che ne hanno fatto il più noto filosofo conservatore inglese (è stato definito dal Sunday Times “the brightest intellect of our time”), Scruton commenta così la legge in discussione al Parlamento per la criminalizzazione dell’“omofobia”. Anche Amnesty International si sta spendendo a favore della norma. “A me questa legge sull’omofobia ricorda i processi farsa di Mosca, e quelli della Cina maoista, in cui le vittime confessavano entusiaste i propri crimini prima di essere giustiziati. In tutte queste cause in cui gli ottimisti accusano gli oppositori di ‘odio’ e ‘discorso dell’odio’ ci vedo quella che il filosofo Michael Polanyi nel 1963 definì ‘inversione morale’: se deplori il welfare manchi di ‘compassione’; se ti opponi alla normalizzazione dell’omosessualità sei un ‘omofobo’; se credi nella cultura occidentale sei un ‘elitista’. L’accusa di ‘omofobia’ significa fine della carriera, specie per chi lavora all’università”.
Scruton sostiene che la manipolazione della verità passa attraverso la distorsione del linguaggio, come nell’opera di Orwell, sotto il nome di “Neolingua”. “La neolingua interviene ogni volta che il proposito principale della lingua, che è di descrivere la realtà, venga sostituito dall’intento opposto: l’affermazione del potere sopra di essa. Qui l’atto linguistico fondamentale solo superficialmente coincide con la grammatica assertiva. Le frasi della neolingua suonano come asserzioni in cui la sola logica sottostante è quella della formula magica: mostrano il trionfo delle parole sulle cose, la futilità dell’argomentazione razionale e il pericolo di resistere all’incantesimo. Come conseguenza, la neolingua ha sviluppato una sua speciale sintassi che, sebbene strettamente connessa a quella normalmente usata nelle descrizioni ordinarie, evita accuratamente anche solo di sfiorare la realtà o di confrontarsi con la logica dell’argomentazione razionale. E’ quello che Françoise Thom ha cercato di illustrare nel suo studio, ‘La langue de bois’ (la lingua di legno). Alcune delle peculiarità sintattiche sono state messe in rilievo da Thom: l’uso di sostantivi al posto di verbi diretti; la preferenza della forma passiva e della costruzione impersonale; l’uso di comparativi al posto di predicati; l’onnipresenza del modo imperativo”.
Con la legge sulla omofobia, dice Scruton, “si tratta di instillare nella mente del pubblico l’idea di una forza maligna che pervade tutta l’Europa, albergando nei cuori e nella testa della gente che può essere ignara delle sue macchinazioni e dirottando sul sentiero del peccato anche il progetto più innocente. La neolingua nega la realtà e la indurisce, trasformandola in un qualcosa di estraneo e resistente, un qualcosa ‘contro cui lottare’ e che deve ‘essere vinto’. Il linguaggio comune riscalda e ammorbidisce; la neolingua raggela e indurisce. Il discorso comune genera, con le sue stesse risorse, i concetti che la neolingua proibisce: corretto-scorretto; giusto-ingiusto; onesto-disonesto; tuo-mio”.

Una forma di “rieducazione”
Scruton dice che c’è una paura dell’eresia che si espande nei paesi europei. “Un sistema ragguardevole di etichette semi ufficiali sta emergendo per prevenire l’espressione di punti di vista ‘pericolosi’. La minaccia si diffonde così rapidamente nella società che non c’è modo di evitarla. Quando le parole diventano fatti, e i pensieri sono giudicati dall’espressione, una sorta di prudenza universale invade la vita intellettuale. La gente modera il linguaggio, sacrifica lo stile per una sintassi più ‘inclusiva’, evita sesso, razza, genere, religione. Qualsiasi frase o idioma che contenga il giudizio su un’altra categoria o classe di persone può diventare, dal giorno alla notte, l’oggetto di una stigmatizzazione. Questo politicamente corretto è una censura soft in cui si manda la gente al rogo per i pensieri ‘proibiti’. Le persone che hanno un ‘giudizio’ sono condannate con la stessa violenza di Salem”. Quello del processo alle streghe nel Massachusetts. La lettera scarlatta.
“Chi si angustia per tutto ciò e vuole esprimere la sua protesta dovrà lottare contro potenti forme di censura. Chi dissente da ciò che sta diventando ortodossia nei ‘diritti dei gay’ è regolarmente accusata di ‘omofobia’. In America ci sono comitati, preposti alle nomine di candidati, che li esaminano per sospetta ‘omofobia’, e vengono liquidati una volta che sia stata formulata l’accusa: ‘Non si può accettare la richiesta di quella donna di fare parte di una giuria in un processo, è una cristiana fondamentalista e omofobica’”.
Secondo Scruton, si tratta di una operazione ideologica che ricorda appunto quella durante la Guerra fredda: “Allora erano necessarie definizioni che stigmatizzassero il nemico intestino e ne giustificassero l’espulsione: era un revisionista, un deviazionista, un sinistrorso immaturo, un socialista utopista, un social-fascista. Il successo di queste ‘etichette’ nell’emarginare e condannare l’oppositore ha corroborato la convinzione comunista che si può cambiare la realtà cambiando il linguaggio: per esempio, si può inventare una cultura proletaria con la parola ‘proletkult’; si può scatenare la caduta della libera economia semplicemente gridando alla ‘crisi del capitalismo’ ogni volta che il tema venga sollevato; si può combinare il potere assoluto del Partito comunista con il libero consenso della gente definendo il governo comunista un ‘centralismo democratico’. Quanto si è rivelato facile uccidere milioni di innocenti visto che non stava succedendo niente di grave, era solo la ‘liquidazione dei kulaki’! Quanto è semplice rinchiudere la gente per anni in campi di lavoro forzato fino a che non si ammala o muore, se la sola definizione linguistica concessa è ‘rieducazione’. Adesso c’è una nuova bigotteria laica che vuole criminalizzare la libertà d’espressione sul grande tema dell’omosessualità”.
Da ultimo, dice Scruton, è lo scontro fra il “pragmatista” e il “razionalista”: “Non c’è alcuna utilità nelle vecchie idee di oggettività e verità universale, l’unica cosa che conta è che ‘noi’ si sia d’accordo. Ma chi siamo ‘noi’? E su cosa ci troviamo d’accordo? ‘Noi’ siamo tutti per il femminismo, liberali, sostenitori del movimento di liberazione dei gay e del curriculum aperto; ‘noi’ non crediamo in Dio o in qualunque religione tramandata, e le vecchie idee di autorità, ordine e autodisciplina per noi non contano. ‘Noi’ decidiamo il significato dei testi, creando con le nostre parole il consenso che ci aggrada. Non abbiamo alcun vincolo, a parte la comunità alla quale abbiamo scelto di appartenere, e poiché non c’è verità oggettiva, ma solo un consenso autogenerato, la nostra posizione è inattaccabile da qualsiasi punto di vista al di fuori di essa. Non solo il pragmatista può decidere cosa pensare, ma si può anche proteggere da chiunque non la pensi allo stesso modo”.
«Il foglio» del 24 settembre 2013

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