27 settembre 2013

Guardarsi in faccia al festival

Ci si interroga sul successo dei raduni letterari e filosofici. Anche se non è un fenomeno nuovo. Molti giovani sono stanchi della superficialità che dilaga. E poi la socializzazione virtuale mostra tutti i suoi limiti
di Umberto Eco
In questo scorcio d'autunno proliferano i festival letterari-filosofici. Ogni città, pare, vuole avere il proprio, emulando le fortune originarie del festival di Mantova; ogni città cerca di avere le menti migliori esistenti sul mercato; in alcuni casi alcune menti migrano da festival a festival, ma in ogni caso il livello dei partecipanti è piuttosto alto. Ora quello che sta eccitando giornali e riviste non è tanto il fatto che questi festival siano organizzati, perché potrebbe trattarsi della pia illusione di qualche assessore alla Cultura, ma che attraggano folle quasi da stadio, in gran parte giovani che arrivano da altre città e spendono uno o due giorni per ascoltare scrittori e pensatori. E in più a gestire questi eventi concorrono squadre di volontari (anche qui giovani) che vi si dedicano come un tempo i loro padri andavano a disseppellire dal fango i libri dopo l'alluvione di Firenze.
Quindi mi pare superficiale e stolta la riflessione di alcuni moralisti che prendono sul serio l'interesse alla cultura solo quando è praticato da un esiguo numero di loro simile, e vedono in questi eventi un esempio di McDonald's del pensiero. Il fenomeno è invece degno di interesse e bisogna chiedersi perché i giovani vadano lì invece che in discoteca; e non si dice che è la stessa cosa, perché non ho ancora udito di auto piene di ragazzi in ecstasy che si schiantano alle due di notte tornando da un Festival della Mente.
Vorrei solo ricordare che il fenomeno, anche se è negli ultimi anni che è esploso in misura massiccia, non è nuovo, perché è dagli inizi degli anni Ottanta che la biblioteca comunale di Cattolica aveva iniziato a organizzare serate (a pagamento!) su "Che cosa fanno oggi i filosofi", e il pubblico arrivava anche in pullman da un raggio di almeno cento chilometri. E già allora qualcuno si era domandato che cosa stesse succedendo.
Né credo che si possa assimilare la faccenda al fiorire di bistrot filosofici intorno a Place de la Bastille a Parigi, dove alla domenica mattina, mentre si sorseggia un Pernod, si fa della filosofia spicciola e terapeutica, una sorta di psicoanalisi meno costosa. No, in questi raduni il pubblico ascolta per ore dei discorsi da aula universitaria. Ci va, ci sta, ci torna.
E allora rimangono solo due ordini di risposte. Di uno si era già parlato sin dai primi raduni di Cattolica: una percentuale di giovani è stanca di proposte d'intrattenimento leggero, di recensioni giornalistiche ridotte (salvo pochi casi eccellenti) a finestrelle e stelloncini di una decina di righe, di televisioni che, quando parlano di un libro, lo fanno solo dopo la mezzanotte. E dunque danno il benvenuto a offerte più impegnative. Si parla per i pubblici dei festival di centinaia e talora di migliaia di partecipanti e certo sono una percentuale assai bassa risetto alla maggioranza generazionale, corrispondono a quelli che frequentano le librerie a più piani, sono certamente un'élite; ma sono un'élite di massa, vale a dire quel che può essere un'élite in un mondo da 7 miliardi di abitanti. E' il minimo che una società può chiedere al rapporto tra autodiretti ed eterodiretti, non si può averne statisticamente di più, ma guai se questi non ci fossero.
La seconda ragione è che questi raduni culturali denunciano l'insufficienza dei nuovi modi di socializzazione virtuale. Puoi avere migliaia di contatti su Facebook ma alla fine, se non sei completamente drogato, ti accorgi che non sei davvero in contatto con esseri in carne e ossa, e cerchi allora occasioni per stare insieme e condividere esperienze con gente che la pensa come te. E' come raccomandava Woody Allen non ricordo dove: se vuoi trovare delle ragazze devi andare ai concerti di musica classica. Non a quelli rock, dove urli verso il palco ma non sai chi ti sta accanto, ma a quelli sinfonici o da camera, dove nell'intervallo intrecci qualche contatto. Non sto dicendo che si vada ai festival per trovare un partner, ma certamente lo si fa per guardarsi in faccia.
«L'Espresso» del 20 settembre 2013

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