11 luglio 2013

Wikileaks, chat, intercettazioni: il fascino segreto di svelare l'altro

Il testo che Walter Siti leggerà questa sera per la conclusione della Milanesiana
di Walter Siti
Desiderare di sottrarsi alle regole è tipico di chi si ritrova a rivelare le confidenze altrui. Per il suo funzionamento, il Potere ha bisogno del segreto: certe trattative non si possono fare in pubblico perché non si sarebbe sinceri. Il mito della trasparenza rivela dinamiche psicologiche nascoste nell'io
Quand'ero ragazzo, a Modena, per me il segreto era inestricabilmente congiunto al piacere. Che fosse in una cantina, d'estate, o nel folto delle piante di granturco, o d'inverno nello sgabuzzino caldo dove si teneva il pane a lievitare, compiere su me stesso atti riprovevoli era l'unico modo che conoscevo per nutrire quel dolce tumore che mi isolava dal mondo e che chiamare semplicemente onanismo precoce sarebbe insopportabile riduzione. Durante quegli atti rievocavo mille gesti degli abitanti del borgo, gesti quotidiani che diventavano magici per averli appunto io spiati segretamente. Nell'acme del mio clandestino piacere io li possedevo tutti, quegli uomini e quelle donne, in un'intimità di cui ero custode geloso; come possedevo il fruscìo del vento, l'odore felpato delle mele ammuffite, l'affrettarsi burocratico dei topi e più tardi le peripezie nei libri che leggevo.Ma anche mio padre e mia madre avevano un segreto, e anche quel segreto aveva a che fare col piacere. Di notte, quando loro credevano che dormissi, si abbandonavano ad atti e parole che io, dietro la sottile parete di cannicci che divideva le nostre due stanze, tesaurizzavo con una golosità mai sazia. Parole bisbigliate, smozzicati sospiri e qualche frase intera che ancora oggi mi farebbe vergognare se la pronunciassi. Era il piacere degli adulti, il piacere tra uomo e donna che per oltre quarant'anni sarebbe rimasto per me il più imperscrutabile dei segreti; e anche quando, a cinquant'anni passati, quel segreto mi si sarebbe aperto con un po' di delusione, privandomi di colpo di attraenti mostruosità e fantasticherie infinite, anche allora quelle umili parole in dialetto avrebbero conservato una loro aura di autorità e di prestigio. Erano le parole di chi mi aveva generato: l'anno scorso, mentre sostituivo provvisoriamente la badante al capezzale di mia madre ormai devastata dall'alzheimer, una notte improvvisamente udii provenire dal suo letto parole chiarissime, quelle stesse proibite parole che udivo da ragazzo, fino al compimento di un orgasmo che non ho avuto il coraggio di profanare, incatenato da una venerazione senza nome.
Crescendo ho sempre avvertito fortissimo il fascino del trasgredire, come se soltanto trasgredendo la Legge io potessi obbedire al mio destino. Ho sempre avuto il patetico bisogno di camminare su un discrimine sottile tra legale e illegale, mettendomi a rischio di essere scoperto; una vocetta diabolica mi spingeva (e ahimè talvolta mi spinge) a fare cose che mi squalificherebbero se le raccontassi. Per me evidentemente trasgredire in segreto significa dire al mondo «io non sono come voi, non appartengo alla vostra tribù». Quella che hanno descritto come la mia autofiction è sempre stata un giocare ipocrita con il segreto: svelare scrivendo alcune indegnità reali ma annegandole in mezzo a molte indegnità fittizie. La bellezza, dopotutto, è una dark pool in cui è impossibile distinguere il vero dal falso, il bene dal male; una bolla sgargiante e iridescente che a nessun critico o ammiratore rivela mai del tutto i propri segreti. Chi identifica nevroticamente il segreto con il piacere, nutre sempre oscuramente il desiderio di essere smascherato (anche come creatore di bellezza: un incubo ricorrente negli scrittori è incontrare un sinedrio che giudichi le loro opere come un bluff - «ci sono cascati!», pare abbia gridato alla moglie García Márquez all'annuncio del Nobel). Il piacere non consiste tanto negli atti che si vogliono tenere segreti, quanto nel segreto stesso come forma di separazione: col pericolo sempre latente che il Moloch a cui ci siamo sottratti con l'astuzia ritorni per divorarci.***Il mio infantile e nevrotico bisogno di piacere segreto non era, adesso comincio a capirlo, una voglia di non essere visto e riconosciuto, ma al contrario era una voglia di non vedere e di non riconoscere. Non volevo assumermi la responsabilità del mio desiderio, desideravo più di ogni altra cosa sottrarmi alle regole. Bizzarramente questa struttura psicologica la si ritrova oggi negli svelatori dei segreti altrui.
Mi riferisco all'ossessione iper-rousseauiana della trasparenza: alla violenta pratica dell'outing, al gossip assunto come una delle belle arti, all'illusione etica delirante dello streaming, ai wiki e ai dataleaks, al grido masochista «intercettateci tutti!». Come se l'intera compagine sociale fosse un'adolescente incerta se proteggere i propri segreti o godere quasi eroticamente nel farseli scoprire. D'altronde i social network non sono principalmente un gioco erotico basato sul reciproco svelamento di segreti?Ma quando i miei genitori mantenevano il segreto sui loro rapporti sessuali, non era per godere di più: oltre che per antico pudore, lo facevano per non perdere autorità sui figli. In loro non vigeva nessun piacere specifico della trasgressione, quel che facevano nella camera matrimoniale era autorizzato e benedetto da tutti i codici; per loro il segreto era una necessità, tramandata per tradizione, di preservare un interdetto sociale che assicurava una distinzione tra il loro ruolo di genitori e quello mio e di mia sorella.
Per il suo normale funzionamento adulto, il Potere ha bisogno del segreto: certe trattative non si possono fare in pubblico, proprio perché se si facessero in pubblico nessuno dei contraenti potrebbe permettersi di essere sincero. Contrariamente al segreto estetizzante, il segreto politico collabora con la verità, non con la menzogna. Fin dal seicentesco Il corriero svaligiato di Ferrante Pallavicino, la tendenziosa denuncia dei segreti politici immerge i denuncianti in un'euforica temperie romanzesca, poco incline alla precisione e ai controlli. Si potrebbe forse azzardare che esistono un segreto sano e un segreto malato: il segreto sano è quello che favorisce la profondità delle relazioni, sottraendo quel che si deve sottrarre per l'ottenimento di una reciproca lealtà. Io ti dico tutto, nei limiti di quel che so che sei in grado di comprendere e di sopportare, e mi aspetto che tu faccia lo stesso con me. Il segreto sano sa quando deve fermarsi. Il segreto sano rispetta i ruoli genitoriali, anche nella loro metafora politica del Potere come padre, e rispetta l'altro senza coinvolgerlo in ambigue eccitazioni a sfondo unanimista e masturbatorio. Il segreto nevrotico e malato nasce dalla paura: paura dei cittadini e delle loro libertà nel caso di insabbiamenti pubblici vili e corporativi, e allora la lotta per svelarli diventa sacrosanta. Il segreto pubblico diventa malato quando cessa il rapporto di reciproca fiducia tra il cittadino e lo Stato. Paura di non esistere nel caso di insabbiamenti privati, di doppie vite che arrivano al suicidio o all'omicidio pur di proteggere un'identità segreta totalmente irreale, in una cattiva infinità paranoica; o anche, meno radicalmente, paura nevrotica di non apparire eccezionali.Senza segreti non si può vivere, ma troppo segreto soffoca e intossica; anche con la scrittura, invecchiando, provo a guardare quel che mi spaventa, e che riconosco superiore, dritto negli occhi.
«Corriere della Sera» del 9 luglio 2013

Nessun commento: