04 giugno 2013

Tronti: «Rabbia e rancore contro il bersaglio sbagliato»

La discriminazione dei cristiani
di Alessandro Zaccuri
Impegnativo editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul «Corriere della Sera» di domenica. Riferendosi alle recenti inchieste di «Avvenire», il politologo passa in rassegna alcuni tra gli episodi più clamorosi di marginalizzazione e vessazione contro i cristiani in Europa. Un fenomeno che, connesso alla volontà di ridurre la fede a «puro fatto privato», porta a misconoscere il ruolo decisivo svolto dal cristianesimo a favore dell’idea stessa di libertà di coscienza
Rabbia e rancore, scaricati sul primo bersaglio a disposizione. È in questa prospettiva che il filosofo Mario Tronti (protagonista tra i più inquieti e originali della sinistra italiana, molto noto anche per la sua recente posizione di «marxista ratzingeriano») suggerisce di analizzare il fenomeno descritto da Ernesto Galli della Loggia nel suo editoriale dell’altro giorno. «Mi pare – dice – che questa ventata di intolleranza anticristiana rientri in un clima generale più volte denunciato, ma che non accenna ad attenuarsi».
A che cosa si riferisce?
«Al degrado della dimensione antropologica, che è forse il dato più evidente della crisi di civiltà in cui ci stiamo dibattendo da alcuni decenni. Le società occidentali sono in preda a una deriva che coinvolge per intero la sfera dei valori, sempre più ridotta a favore di una competizione selvaggia tra gli individui. Un quadro già di per sé inquietante e che ha subìto un’accelerazione drammatica per effetto della crisi economico-finanziaria».
Sì, ma perché prendersela con la religione?
«Una volta abbandonati a se stessi, privi dei riferimenti elementari fin qui costituiti per esempio dalla famiglia, gli individui sono condannati a concentrarsi sugli obiettivi sbagliati. Nella fattispecie la coscienza cristiana, che ha svolto un ruolo tanto importante nella formazione della mentalità europea, viene percepita solo come controparte con cui polemizzare, scaricando così la rabbia accumulata altrove. Una rabbia che ormai non ha più alcuna connotazione di rivolta, ma si esaurisce in un rancore pronto ad abbattersi contro ciò che è più vicino, più familiare e, in fin dei conti, più vulnerabile».
Tutto in nome della libertà?
«In nome di una concezione distorta e antistorica della libertà, che non coglie alcune contraddizioni di fondo. La principale, a mio avviso, sta nel fatto che, prendendo di mira il cristianesimo, ci si scaglia non solo contro la tradizione che sta all’origine dell’idea stessa di libertà, ma anche contro una forza che ancora oggi potrebbe fornire una soluzione ai problemi da cui siamo angosciati. Mentre in teoria si invoca la responsabilità suprema dell’autodeterminazione, in pratica non si fa altro che rivendicare il proprio diritto all’irresponsabilità. Il diritto, in parole povere, a fare quello che si vuole: qualsiasi desiderio dev’essere sancito per legge, qualsiasi capriccio dev’essere ratificato dal costume. E qualsiasi elemento si opponga a questo meccanismo, dev’essere spazzato via. Religione compresa».
Eppure, nel frattempo, non viene riconosciuto il diritto dei medici all’obiezione di coscienza ...
«Caso delicatissimo, che invece si pretende di liquidare con il solito appello ai diritti individuali. Ma in questo modo si disgregano quegli stessi valori che per tanto tempo hanno garantito la coesione della società. Il risultato è una frantumazione che si traduce in una costante, e preoccupante, caduta etica. Il nodo è sempre lo stesso: nel momento in cui non si accetta che l’azione del singolo possa avere un limite, ci si batte perché i limiti vengano cancellati e una malintesa libertà possa dettar legge».
Ma ci sarà pure un rimedio, no?
«C’è ed è, una volta di più, qualcosa che rischiamo di lasciarci alle spalle. Si tratta di una concezione della politica diversa da quella che si sta purtroppo diffondendo, un poltiica in virtù della quale posizioni differenti possono trovarsi a dialogare senza essere condannate allo scontro. Una cultura civile, un luogo di una tolleranza autentica, quella stessa tolleranza che è sempre stata presentata come il più alto tra i valori della laicità. E che oggi dalla laicità viene tradita e abbandonata».
«Avvenire» del 4 giugno 2013

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