23 gennaio 2013

Se il relativismo si impone come norma

L’arcivescovo segretario della Segreteria di Stato per i Rapporti con gli Stati Mamberti sulle sentenze della Corte di Strasburgo
s. i. a.
«È reale il rischio che il relativismo morale che si impone come nuova norma sociale venga a minare le fondamenta della libertà individuale di coscienza e di religione»: è quanto afferma l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario della Segreteria di Stato per i Rapporti con gli Stati a proposito delle recenti sentenze della Corte europea dei diritti su alcuni casi afferenti il rispetto della libertà religiosa nel Regno Unito.
La Corte di Strasburgo ha infatti sancito il diritto ad indossare simboli religiosi sui luoghi di lavoro, salvo il caso in cui esigenze di sicurezza e igiene lo sconsiglino, come per esempio negli ospedali, ma contestualmente ha negato il diritto all’obiezione di coscienza a una impiegata comunale che si era rifiutata per motivi religiosi di celebrare unioni civili fra omosessuali e a un terapista che si era rifiutato di fornire consulenza sessuale sempre a coppie dello stesso sesso.
«Questi casi — spiega il presule in un’intervista con Olivier Bonnel per Radio Vaticana, che riportiamo integralmente — dimostrano che le questioni relative alla libertà di coscienza e di religione sono complessi, in particolare in una società europea caratterizzata dall’aumento della diversità religiosa e dal relativo inasprimento del laicismo. È reale il rischio che il relativismo morale che si impone come nuova norma sociale venga a minare le fondamenta della libertà individuale di coscienza e di religione. La Chiesa desidera difendere le libertà individuali di coscienza e di religione in ogni circostanza, anche di fronte alla “dittatura del relativismo”. Per questo, è necessario illustrare la razionalità della coscienza umana in generale, e dell’agire morale dei cristiani in particolare. Quando si tratta di questioni moralmente controverse, come l’aborto o l’omosessualità, deve essere rispettata la libertà di coscienza. Piuttosto che un ostacolo allo stabilimento di una società tollerante nel suo pluralismo, il rispetto della libertà di coscienza e di religione ne è condizione. Rivolgendosi, la settimana scorsa, al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Benedetto XVI sottolinea che per salvaguardare effettivamente l’esercizio della libertà religiosa, è quindi essenziale rispettare il diritto all’obiezione di coscienza. Questa “frontiera” della libertà sfiora principi di grande importanza, di carattere etico e religioso, radicati nella stessa dignità della persona umana. Sono come i “muri portanti” di qualsiasi società voglia definirsi veramente libera e democratica. Di conseguenza, vietare l’obiezione di coscienza individuale e istituzionale, in nome della libertà e del pluralismo, aprirebbe al contrario – paradossalmente – le porte all’intolleranza e ad un livellamento forzato. L’erosione della libertà di coscienza testimonia altresì una forma di pessimismo nei riguardi della capacità della coscienza umana a riconoscere quanto è bene e vero, a vantaggio della sola legge positiva che tende a monopolizzare la determinazione della moralità. È anche il ruolo della Chiesa ricordare che ogni uomo, qualsiasi sia il suo credo, è dotato dalla sua coscienza della facoltà naturale di distinguere il bene dal male e quindi di agire di conseguenza. In questo risiede la fonte della sua vera libertà.

Recentemente, la missione della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa ha pubblicato una nota sulla libertà e l’autonomia istituzionale della Chiesa. Vuole illustrarcene il contesto?
Attualmente, la questione della libertà della Chiesa nei suoi rapporti con le autorità civili è all’esame della Corte europea dei diritti dell’uomo in due casi che riguardano la Chiesa ortodossa di Romania e la Chiesa cattolica. Si tratta dei casi Sindicatul “Pastorul cel bun” contro Romania e Fernandez Martinez contro Spagna. In questa occasione, la Rappresentanza permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa ha redatto una nota sintetica nella quale ha esposto il magistero sulla libertà e l’autonomia istituzionale della Chiesa cattolica.

Qual è il problema in queste due cause?
In queste due cause, la Corte europea deve stabilire se il potere civile abbia rispettato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, avendo rifiutato di riconoscere un sindacato professionale di sacerdoti (per quanto riguarda la Romania), e rifiutando di nominare un insegnante di religione che pubblicamente professava posizioni contrarie alla dottrina della Chiesa (nella questione spagnola). Nei due casi, i diritti alla libertà d’associazione e alla libertà d’espressione sono stati invocati per costringere delle comunità religiose ad agire contro il loro statuto canonico e contro il magistero. Inoltre, questi casi mettono in questione la libertà della Chiesa di operare secondo le proprie regole, di non doversi sottoporre ad altre norme civili se non quelle necessarie al rispetto del bene comune e del giusto ordine pubblico. La Chiesa ha sempre dovuto difendersi per tutelare la propria autonomia di fronte al potere civile e alle ideologie. Oggi nei Paesi occidentali diventa importante sapere come la cultura dominante, fortemente caratterizzata dall’individualismo materialista e dal relativismo, possa comprendere e rispettare la natura specifica della Chiesa, che è una comunità fondata sulla fede e sulla ragione.

La Chiesa come vive questa situazione?
La Chiesa è consapevole della difficoltà di stabilire, in una società pluralista, i rapporti tra le autorità civili e le diverse comunità religiose rispetto alle esigenze della coesione sociale e del bene comune. In questo contesto, la Santa Sede richiama l’attenzione sulla necessità di conservare la libertà religiosa nella sua dimensione collettiva e sociale. Questa dimensione risponde alla natura essenzialmente sociale tanto della persona quanto del fenomeno religioso in generale. La Chiesa non chiede che le comunità religiose siano delle zone di non-diritto, quanto piuttosto che siano riconosciute come spazi di libertà in virtù del diritto alla libertà religiosa, nel rispetto del giusto ordine pubblico. Questa dottrina non è riservata alla Chiesa cattolica, i criteri che ne derivano sono fondati sulla giustizia e sono quindi di applicazione generale. Inoltre, il principio giuridico di autonomia istituzionale delle comunità religiose è largamente riconosciuto da quegli Stati che rispettino la libertà religiosa, nonché dal diritto internazionale. La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo l’ha enunciato regolarmente in diversi casi importanti. Anche altre istituzioni hanno affermato questo principio. È il caso dell’Osce (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) o ancora del Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite rispettivamente nel Documento finale del 19 gennaio 1989 della Conferenza di Vienna, e nell’Osservazione generale n. 22 sul diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione del 30 luglio 1993. È utile ricordare e difendere questo principio di autonomia della Chiesa e del potere civile.

Come si presenta questa Nota?
La libertà della Chiesa sarà rispettata tanto meglio quanto più sarà ben compresa dalle autorità civili, senza pregiudizio. Sarà quindi necessario spiegare come è concepita la libertà della Chiesa. La Rappresentanza permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa ha quindi redatto una note sintetica che spiega la posizione della Chiesa attorno a quattro principi: la distinzione tra Chiesa e comunità politica; la libertà nei riguardi dello Stato; la libertà in seno alla Chiesa e il rispetto del giusto ordine pubblico. Dopo aver illustrato questi principi, la Nota cita inoltre estratti importanti della Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis Humanae e della Costituzione pastorale Gaudium et Spes del concilio Vaticano II.
«Osservatore romano» del 17 gennaio 2013

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