11 agosto 2012

"Niente sconti? Ti rovino sul web". Quante cyber-recensioni fasulle

Il 60% dei turisti le consulta per scegliere dove mangiare e dormire ma un terzo è falso. E i siti che tutelano le "vittime" dai finti commenti sono davvero pochi
di Roberta Pasero
«Si può perdonare tutto tran­ne che una buona reputazione». Altri tempi. Oggi i frequentatori del web non la pensano come Oscar Wilde, tanto che una delle maggiori preoccupazioni dell’era internettiana è quella di avere una buona reputazione, almeno on line.
«Nell’era digitale la repu­tazione non è più soltanto un con­cetto filosofico, ma qualcosa che rimane scalfita nel web per sem­pre. Ognuno di noi ha una sua car­ta d’identità digitale che, magari senza saperlo, viene macchiata dai contenuti pubblicati da anoni­mi su motori di ricerca, Facebook, blog, su 30 miliardi di pagine web», spiega Andrea Barchiesi, amministratore delegato di Repu­tation manager, società che ana­lizza l’immagi­ne on line aiu­tando aziende e professioni­sti a non perde­re la cyber repu­tazione.
«Su in­ternet- raccon­ta l’ad- la verità non esiste, così come la riserva­tezza. Tutti pos­sono­cadere vit­time di un abu­so dei dati per­sonali. Per esempio chi cerca un posto e vede il pro­prio profilo sbattuto in rete e dunque visibi­le dai futuri da­tori di lavoro, oppure chi ha la sua reputazione distrutta per una foto o un video pubblicato per vendetta com’è ca­pitato a Belen con il suo filmato hot messo in rete da un ex fidanza­to ».E poi c’è chi ha mandato infu­mo la carriera per commenti inopportuni scritti su Facebook cre­dendosi invisibile, com’è capita­to alla dipendente della Danieli, società di forni industriali per l’ac­ciaio, che per aver scritto qualco­sa tipo “Che noia una giornata in Danieli” è stata licenziata.
Uno dei settori più in crisi di identità digitale è il turismo. Qui tutto può accadere, tra giudizi fal­si positivi e recensioni finte negati­ve pubblicate nei portali di viaggi, Com’è capitato in Gran Bretagna dove sono state sbugiardate le recensioni negative di Helen Griffi­ths, su TripAdvisor, una delle più influenti community di viaggio, e su molti altri siti gastronomici, che riguardavano il ristorante «The Good Life» aperto da una ri­vale in amore a Shrewsbury. È sta­ta la polizia postale a smascherar­la e a costringerla a pubblicare sul Times l’ammissione di colpa:«Ho scritto i miei giudizi negativi sen­za essere mai entrata in quel ristorante e dunque senza avervi mai mangiato». E pensare che proprio TripAdvisor ha come motto «Get the truth, then go» (trova la verità e poi va). «Purtroppo non è così. Ormai almeno il 60 per cento dei turisti consulta le opinioni lascia­te sui portali turistici da altri viag­giatori non sapendo però che un terzo delle recensioni sono false. Il danno è enorme: se tanti giudizi positivi scritti ad arte fanno scala­re a hotel e ristoranti posizioni im­portanti nelle pagine web dando loro visibilità e dunque maggiori probabilità di clienti, le recensio­ni negative possono screditare a tal punto una struttura turistica da portarla al fallimento» spiega Enrico Ferretti, titolare della Se­cret Key, società di web marketing specializzata nel turismo. «Ma a scrivere recensioni negative - con­tinua Ferretti - sono anche i clienti pronti a minacciare pessimi giudi­zi se non ottengono sconti adegua­ti, come capita spesso anche negli alberghi italiani».
Purtroppo sono pochi i siti che cercano di tutelare i ristoratori. Tra questi Booking.comche con­sente di scrivere commenti solo a chi ha acquistato la vacanza attra­verso il loro portale, mentre Tra­velPost spesso verifica che il clien­te abbia realmente soggiornato nella struttura che recensisce.
Ma se ormai la frittata è fatta co­me ci si può rifare una reputazio­ne in rete? «Leggi che tutelino le vittime del web non esistono» spiega Andrea Barchiesi. «Si cer­ca, perciò, di rimediare al danno, studiando il posizionamento dei contenuti lesivi o falsi nei motori di ricerca e anche la strategia mi­gliore per isolarli. Poi si richiede la rimozione al sito o la pubblicazio­ne di una rettifica quando si tratta di informazioni scorrette».Nel set­tore turistico, invece, è più compli­cato: «un esempio positivo arriva dalla Francia dove il tribunale ha condannato i siti turistici on line Expedia, TripAdvisor e Hotels. com a pagare 427mila euro al Synhorcat, il sindacato che rap­presenta operatori alberghieri e ristoratori, per pratiche sleali e in­gannevoli », dice Enrico Ferretti. Insomma a distanza di oltre quat­tro seco­li si deve ancora dar ragio­ne a Shakespeare quando afferma­va: «La reputazione? È una veste effimera e convenzionale, guada­gnata spesso senza merito e per­duta senza colpa».
«Il Giornale» dell'11 agosto 2012

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