29 febbraio 2012

Le scuole filosofiche dell'ellenismo (Di Sacco - Serìo)

Brano tratto dal volume Il mondo latino, vol. 1, Bruno Mondadori 2000, pp. 146-147
di Di Sacco - Serìo
Tendenze generali
La filosofia ellenistica presenta importanti elementi di novità rispetto a quella dell'età classica, cioè quella di Platone e di Aristotele. Il principale elemento è costituito dalla presenza delle scuole, che rappresentano il vertice dell'educazione intellettuale. Ciascuna scuola è retta da uno scolarca, che designa il proprio successore; oltre alla lettura e al commento dei testi dei fondatori, ha grande importanza il colloquio quotidiano con il maestro, che si atteggia a modello di vita e guida "spirituale". La scuola filosofica è anche un luogo di amicizia e d'identità culturale, con tendenza a isolarsi rispetto alla vita sociale, a differenziarsi dalla massa degli incolti. Smarrito l'orizzonte della polis, il saggio dell'ellenismo è essenzialmente colui che riesce a mantenersi immune dai rivolgimenti sociali e politici; il suo è un orizzonte cosmopolita, che si propone alla comunità universale degli uomini.
Tipica della filosofia ellenistica è poi la coltivazione delle dispute e polemiche intellettuali tra una scuola e l'altra, come pure la loro reciproca contaminazione; spesso la disputa approda a un progressivo "aggiustamento" e avvicinamento delle posizioni, secondo uno stile eclettico a cui si mantiene estranea solo la scuola epicurea.

La problematica morale: filosofia come "arte del vivere"
Benché diverse scuole continuino le ricerche di ordine logico, gnoseologico e fisico già tipiche della filosofia dell'età classica, tuttavia il loro interesse dominante va alle problematiche etiche. Se in precedenza lo scopo del sapere appariva la ricerca e la conquista della verità (la vita contemplativa, il biòs theoretikós, realizza quanto di più elevato vi è nella natura umana), ora prevale un ideale pratico: la filosofia appare un mezzo, non più un fine; il suo compito è quello di suggerire contenuti e condizioni per una vita più felice, specie sul piano individuale. Filosofia dunque come "arte del vivere", se non come "terapia" per medicare, o limitare, dolori e infelicità.

Quattro scuole principali
In Atene, la città che mantiene il primato assoluto della ricerca filosofica, operano quattro scuole principali: l'accademica (o platonica), la peripatetica (o aristotelica), la stoica e l'epicurea. Esaminiamole singolarmente.

L'Accademia platonica
L'Accademia era stata fondata (388 a.C.) e diretta da Platone, nella persuasione che l'insegnamento potesse creare la nuova classe dirigente di cui egli avvertiva urgente bisogno. Nel suo ampio progetto di cultura avevano largo posto le scienze, mentre alla filosofia, intesa come ricerca disinteressata del sapere, era riservato un ruolo di coronamento.
In età ellenistica l'Accademia platonica mostra un progressivo distacco dalle dottrine di Platone. Dal III secolo a.C. prevale un indirizzo scetticheggiante: secondo la filosofia scettica (da sképsis, "ricerca", "dubbio") di Pirrone di Elide (365-275 ca a.C.), la ricerca filosofica non può condurre l'uomo ad accertare la verità. Tale linea viene inaugurata da Arcesilao di Pitane (315-240 a.C.), fondatore della media Accademia, nemico di ogni principio di autorità e patrocinatore della sospensione del giudizio, e proseguita da Carneade di Cirene (219 ca-128 a.C.), fondatore della nuova Accademia.
Tra il Il e il I secolo a.C. s'impongono invece, con Filone di Larissa (160-85 ca a.C.) e con Antioco di Ascalona (127 ca-68 a.C.), tendenze eclettiche. Secondo Antioco, per decidere che una tesi è più "probabile" di un'altra bisogna pur disporre di una certezza preventiva; e tale criterio di verità va rintracciato nel "consenso" di tutti i grandi filosofi sulle principali questioni. Perciò Antioco ricostruisce il patrimonio dottrinale delle scuole filosofiche prevalenti, per individuare la base comune sulla quale esse sembrano concordare; giunge in tal modo a sostenere una fondamentale continuità tra platonismo, aristotelismo e stoicismo.
La massima diffusione dell'accademismo a Roma coincide, nel I secolo a.C., con l'elaborazione di Cicerone, che attorno al 79 a.C. ascolta le lezioni di Antioco di Ascalona.

La scuola peripatetica
II Peripato aristotelico deve il suo nome all'abitudine di Aristotele di passeggiare (perípatos in greco significa appunto "passeggiata") durante le sue conversazioni con gli allievi; dal tempio di Apollo Liceo ad Atene, presso cui era la sede della scuola, essa era conosciuta anche come Liceo. Dopo la morte del maestro, la scuola fu retta da Teofrasto (sino al 288-286 a.C.), quindi da Stratone di Lampsaco (sino al 268 a.C.), Critolao di Faseride e altri, che si dedicarono essenzialmente alla raccolta e al commento dei testi di Aristotele.
Tipica dell'aristotelismo era l'attenzione al mondo sensibile e l'importanza attribuita all'indagine empirica. La linea più propriamente scientifica della filosofia aristotelica venne proseguita e sviluppata dagli studiosi del Museo della città di Alessandria.

Lo stoicismo
La scuola della Stoa deriva il suo nome dalla Stoà poikìle, il "portico dipinto" (dal pittore Polignoto) di Atene. Fu questa la prima sede d'insegnamento di Zenone di Ozio, fondatore (attorno al 300 a.C.) dello stoicismo. Nella storia dello stoicismo si distinguono tre fasi: l'antica Stoa (III-II secolo a.C.), con i successori di Zenone, tra cui Cleante e Crisippo; la media Stoa (II-I secolo a.C.), con Panezio e Posidonio; infine la nuova Stoa (I-III secolo d.C.), che corrisponde alla fioritura dello stoicismo romano, con Seneca, Marco Aurelio ed Epitteto.
Caratteristica dello stoicismo di Zenone è l'idea di "sistema", che connette in un organismo coerente le tre parti della filosofia: la logica come teoria del discorso e della conoscenza, la fisica come concezione del mondo e l'etica come studio del comportamento umano. Per gli stoici il cosmo è un immane organismo, vitale e pulsante in ogni sua parte, i cui processi sono regolati da un principio unitario, detto lógos o pnéuma; quest'ultimo è però inseparabile dalla realtà: tutte le cose esistenti sono corpo. Ogni evento è inserito in una catena di cause ed effetti; tale legge è il fato o destino. II mondo è perfetto, nel senso che non gli manca nulla: c'è una "provvidenza" divina, che coincide con la razionalità. Essa tutto opera dentro il cosmo e non si identifica affatto nel Dio creatore giudaico-cristiano.
L'uomo (un composto di corpo e di anima non separabile) occupa nel cosmo una posizione privilegiata; la presenza, in lui, del lógos lo apparenta alla divinità. Siccome il caso non esiste e tutto avviene per necessità, la libertà per l'uomo coincide con il riconoscimento e l'accettazione dell'ordine perfetto e razionale del cosmo: questo è il suo dovere morale. Utile e buono è ciò che consente all'uomo di realizzare la sua natura di essere razionale; male è ciò che è di ostacolo. Quando la passione (pathos) prevale sulla ragione (logos), l'uomo si crea false rappresentazioni del bene; le passioni sono malattie dell'anima, da cui la terapia filosofica insegna appunto a guarire. Vertice della vita morale è I'apàtheia, l'«impassibilità», cioè l'assenza assoluta di passioni.
Il saggio stoico non rifiuta i precetti della morale comune e sa impegnarsi nella vita civile, al servizio della collettività; egli rappresenta però un ideale arduo, lontanissimo da quanti vivono nella comune schiavitù delle false opinioni e delle passioni.

L'epicureismo
La scuola degli epicurei era detta "Il Giardino" (Képos), così battezzata da Epicuro, che l'aveva fondata nel 307 a.C. L'epicureismo trovò a Roma un interprete e divulgatore di eccezionale portata in Lucrezio (I secolo a.C.), l'autore del poema De rerum natura.
Per Epicuro la filosofia è una «medicina dell'anima»; essa mira a una condizione di benessere interiore (eudaimonfa, "felicità"), che è possibile raggiungere mantenendosi ferme quattro convinzioni (è il cosiddetto "tetrafarmaco"): «Non sono da temere gli dèi; la morte non è cosa di cui si debba stare in sospetto; il bene è cosa facile da conquistare; facile da tollerarsi è il male». Per liberare l'uomo da ti-mori esagerati, la "terapia" filosofica predica il rifiuto di quelle attività 'intellettuali che non aiutano a trovare la felicità, e il ritorno a una condizione "naturale". Occorre perciò ricondurre tutti i fenomeni al campo dell'esperienza e liberarsi di ogni aspirazione a realtà esterne o superiori all'uomo.
Su tali basi, Epicuro disegna una fisica materialistica, fondata sull'atomo (la parte più semplice della materia, non scomponibile) e dipendente da precedenti dottrine filosofiche (Democrito e Leucippo), ed elabora una teoria della conoscenza fondata sulla sensazione. L'anima è mortale, perché come tutti i corpi è costituita di atomi; le funzioni psichiche (affetti, pensieri) sono determinate dal movimento degli atomi nell'anima. Virtù e felicità coincidono con il piacere (edoné), cioè con l'assenza di dolore: quella epicurea è un'etica edonistica, che chiede di riportarsi alla natura o physis. Per fondare le proprie scelte di vita, va eseguito un calcolo, una valutazione razionale del piacere e del dolore che ne seguiranno. Il saggio epicureo deve tenersi lontano da ogni turbamento e quindi anche dal mondo puramente convenzionale delle leggi, dello stato e della vita politica.
Quanto agli dèi, Epicuro ne afferma l'esistenza, ma sostiene che essi vivono in spazi vuoti, gli intermundia, indifferenti a quanto accade agli uomini: pensare che gli dèi agiscano e averne quindi paura è pura superstizione.

Altre tendenze: cinismo e scetticismo
Non definibili come vere e proprie scuole, bensì come tendenze a esse trasversali, sono poi lo scetticismo e il cinismo.
Lo scetticismo, fondato da Pirrone di Elide tra il IV e il III secolo a.C., si basava sulla relatività dei punti di vista: perciò occorre rifiutare ogni "attaccamento" alle opinioni e vivere senza desideri e inclinazioni particolari.
Il cinismo si configura come un atteggiamento di pensiero e di vita contrario all'istituzionalizzazione del sapere filosofico: perciò i filosofi cinici attuano una forma di divulgazione filosofica popolare, conversando nelle vie e nelle piazze cittadine. Fondato da un discepolo di Socrate, l'ateniese Antistene (436-366 a.C.), il cinismo deriva il nome dal fatto che i suoi rappresentanti, per la vita girovaga e austera, vennero paragonati ai cani (dal greco kyon, "cane"). I cinici predicavano il totale distacco dal piacere terreno, dai beni esteriori e anche dalle convenzioni sociali. Il loro rappresentante più noto fu Diogene di Sìnope (413-324 a.C.), che secondo la tradizione vagabondava portando con sé soltanto una ciotola, un piatto e un bastone; la sua dimora sarebbe stata una botte.
Postato il 29 febbraio 2012

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