29 febbraio 2012

Il comunismo non fu rivoluzionario, ma una reazione al capitalismo

di Giampietro Berti
Il succo del nuovo libro di Paolo Ercolani, La storia infinita. Marx, il liberalismo e la maledizione di Nietzsche (La scuola di Pitagora, pagg. 498, euro 25; presentazione di Luciano Canfora), può essere espresso in questi termini: va riconosciuta la vittoria netta del liberalismo sul marxismo, ma si tratta di una mezza vittoria (e dunque di una mezza sconfitta del marxismo), in quanto oggi la società capitalistica non è più quel regime disumano teorizzato dal liberalismo ed esistente fino agli inizi del Novecento, e ciò per merito anche dei seguaci di Marx, che hanno costretto il capitalismo a riformarsi in chiave di Welfare State. Inoltre l’affermazione planetaria del mercato è lontana dall’aver realizzato pace, benessere e dignità per tutti: insomma se il comunismo sta malissimo, anche il capitalismo non se la passa bene. In tutti i casi, la sua vittoria è ben lungi dall’essere definitiva. Non siamo affatto alla fine della Storia (come voleva Francis Fukuyama) perché il suo svolgimento è in continuo divenire: si può dunque ancora sperare ...
Abbiamo riassunto in modo schematico un libro di lunga ricerca e di meditata riflessione, assai pregevoli. Tuttavia la morale rimane questa: la vittoria del capitalismo non è definitiva, tanto come non è definitiva la sconfitta del marxismo, che, comunque, ha svolto nella storia una parte benefica. Si tratta di una conclusione che non può essere accettata. Ci spieghiamo. Chi ha affermato con certezza che la Storia avrebbe trovato il suo compimento non è stato il liberalismo, ma il marxismo. Essendo forma secolarizzata dell’escatologia giudaico-cristiana, il marxismo si è fondato sulla convinzione messianica che il comunismo è la verità ultima dell’umanità, la sua effettiva realizzazione storica: il capitalismo sarebbe stato sopraffatto dal comunismo.
È avvenuto invece il contrario: non vi è stata la caduta del capitalismo e l’avvento del comunismo, ma la sconfitta del comunismo e la vittoria del capitalismo. Si può dire senz’altro che la liberaldemocrazia è ben lungi dall’aver ottenuto un’affermazione definitiva, fino a costituire l’ultima fase della storia dell’umanità, ma ancor più si deve ricordare che la sconfitta del comunismo è irreversibile.
Inoltre è molto discutibile l’idea di Ercolani che l’Occidente moderno sia stato attraversato da due opposte tradizioni di pensiero, quella liberal-individualistica e quella giacobino-socialista, dal momento che esse non hanno avuto lo stesso ruolo. Il capitalismo è il protagonista della storia moderna, il comunismo è la reazione che ha accompagnato questo protagonismo. Bisogna dunque rovesciare questa «universale» credenza e dire che il comunismo non esprime una rivoluzione ma una reazione, essendo un protagonismo di seconda battuta che reagisce a un precedente protagonismo: il capitalismo è rivoluzionario, il comunismo è reazionario. È il capitalismo che ha cambiato il mondo, non il comunismo.
Non possono dunque essere posti sullo stesso piano il liberalismo individualistico e il giacobinismo socialista. Se c’è stata una corrente politico-ideologica che ha contribuito in modo positivo alla dialettica storica dell’Occidente, essa non va rintracciata nel radicalismo comunista (che intendeva abolire il capitalismo, distruggendo il liberalismo), ma nel riformismo socialista (diretto a modificare il capitalismo rimanendo all’interno della logica liberal-democratica).
Le contraddizioni del liberalismo, poste in rilievo da Ercolani, non possono fare il paio con la responsabilità storico-filosofica di Marx, per il quale il socialismo si sarebbe realizzato attraverso la statalizzazione integrale dei mezzi di produzione, l’abolizione del mercato e la pianificazione economica. È certo che Marx non ha teorizzato il Gulag, ma è altrettanto certo che ha teorizzato un sistema politico-sociale che, ovunque è stato applicato, ha prodotto sempre lo stesso risultato: dispotismo e miseria.
«Il Giornale» del 29 febbraio 2012

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