05 febbraio 2012

Cospirazionisti e negazionisti: l’invasione delle bufale online

Il lato oscuro della Rete: le falsificazioni su Aids, vaccini, effetto serra. Idee per introdurre un «controllo di qualità»
di Evgeny Morozov
All’inizio il Web era visto come una specie di magazzino globale - un nuovo tipo di biblioteca che metteva a disposizione la summa completa della conoscenza umana. In effetti è questa la forma che è andato assumendo - ma con una differenza: oltre a prendere in prestito quel che troviamo nelle sue ampie raccolte, noi utenti possiamo anche depositarvi i nostri libri, opuscoli e altri scritti - in una pressoché totale assenza di verifiche qualitative.
Questa democratizzazione della raccolta di informazioni - ove accompagnata da accordi istituzionali e tecnologici intelligenti - è stata estremamente utile: ha permesso, ad esempio, la creazione di Wikipedia e di Twitter. Ma ha anche generato migliaia di siti che mettono in discussione dati scientifici, rigettano fatti dimostrati e promuovono teorie della cospirazione. E giunto il momento di introdurre un sistema di controllo della qualità?
Le persone che negano che si stia verificando un riscaldamento globale, che si oppongono alla teoria dell’evoluzione di Darwin, che si rifiutano dl vedere il collegamento tra il virus Hiv e l’Aids, o pensano che l’attacco dell’11 settembre sia stato frutto di trame interne, hanno ampiamente utilizzato Internet a loro vantaggio. All’inizio il Web permetteva loro di trovare e reclutare chi la pensava allo stesso modo, di promuovere incontri e petizioni per le loro cause. Ora che tanta parte della vita pubblica si è spostata online, sono giunti a manipolare i motori di ricerca, a modificare le voci di Wikipedia, a molestare gli scienziati che si oppongono alle loro teorie e a raccogliere una gran quantità di «prove» digitali che offrono baldanzosamente ai potenziali simpatizzanti.
Un articolo uscito di recente sulla rivista medica «Vaccine» illustra bene il modo di utilizzare la Rete di uno di questi gruppi, il movimento mondiale contro le vaccinazioni, un coacervo di scienziati senza scrupoli, giornalisti, genitori, e personalità note, che pensano che i vaccini possano provocare disturbi come l’autismo, una tesi che la scienza ha dimostrato essere del tutto infondata. Il movimento anti-vaccinazione non è una novità (già nel XVIII secolo vennero sollevate obiezioni di ordine religioso sulle vaccinazioni), ma la facilità di rendersi visibili offerta da Internet assieme al crescente scetticismo che circonda il sapere scientifico, ha dato a questo movimento grande risonanza. Jenny McCarthy, l’attrice Usa che ne è diventata il volto pubblico, ha ammesso apertamente di aver ricavato «dall’università di Google» gran parte delle sue informazioni sui danni della vaccinazione; e condivide regolarmente queste sue «conoscenze» con il mezzo milione circa di seguaci che ha su Twitter. Scienziati che hanno vinto il Nobel possono solo sognare una platea online di questa portata; Richard Dawkins, forse lo scienziato attualmente più famoso, ha su Twitter solo 300.000 seguaci.
Le comunità che abbracciano teorie pseudoscientifiche o del complotto non sono influenzabili neanche da esperti indipendenti che vogliano aderirvi - la tanto dibattuta «infiltrazione cognitiva» proposta da Casa Sunstein (che ora dirige l’Office of Information and Regulatory Affairs della Casa Bianca). Lo studio di «Vaccine» mostra che i blog e i forum gestiti dal movimento contro la vaccinazione sono aggressivamente censori, ed eliminano tutti i commenti che sostengono i benefici della vaccinazione.
Cosa fare allora? Beh, forse è arrivato il momento dl accettare il fatto che molte di queste comunità non perderanno i loro membri più convinti, neanche se verranno bombardate da dimostrazioni scientifiche che provano l’infondatezza delle loro teorie. Per contrastare la loro crescita bisognerebbe rivolgere gli sforzi agli aderenti potenziali, piuttosto che ai militanti.
Chi oggi avvia una ricerca su Google o Bing per verificare se «il riscaldamento globale è reale» o se «vaccinare è rischioso» o «chi è stato l’artefice degli attacchi dell’11 settembre» è a pochi clic di distanza dall’aderire a una di queste comunità. Dato che la censura dei motori di ricerca non è un’idea attraente, che cosa si può fare per garantire che gli utenti sappiano che le informazioni che riceveranno sono probabilmente pseudoscientifiche, non provate dalla scienza?
Le possibilità non sono molte. Una è quella di addestrare i browser a segnalare le informazioni sospette. In questo modo ogni volta che un’affermazione come la «vaccinazione porta all’autismo» appare nei browser, verrebbe evidenziata in rosso - magari accompagnata da un avviso che consiglia di cercare una fonte più autorevole. Si dovrebbe, a questo fine, compilare un database delle affermazioni discutibili, a cui andrebbero opposte le ultime opinioni della scienza - un obiettivo impegnativo che progetti come «Dispute Finder» stanno perseguendo con determinazione.
Un’altra opzione - che non esclude necessariamente la prima – è quella di spingere i motori di ricerca ad assumersi maggiori responsabilità nei confronti degli indirizzi Web che propongono, e a esercitare un controllo editoriale maggiore nel presentare i risultati di ricerche su argomenti come «riscaldamento globale» o «vaccinazione». Google ha già un elenco di temi ricercando i quali si ottengono soprattutto siti che propongono tesi pseudoscientifiche e teorie del complotto: perché non trattarli in maniera diversa dalle normali ricerche? In questo modo, quando il risultato della ricerca fosse tale da indirizzare gli utenti a siti gestiti da pseudoscienziati o teorici della cospirazione, Google potrebbe far apparire un banner rosso che li invita a esser cauti e a consultare un elenco di risorse autorevoli prima di trarre conclusioni. In più di una dozzina di Paesi, Google fa già qualcosa di simile per gli utenti che fanno ricerche su «come morire» o su «suicidio», inserendo una nota rossa ben evidente che invita a chiamare la National Suicide Prevention Hotline. Può sembrare un metodo paternalistico, ma è un paternalismo poco invadente che potrebbe salvare delle vite.
Purtroppo, con la recente adozione del social search - in cui i link condivisi dai nostri amici sui social network di Google sono ai primi posti nei risultati della ricerca - Google si muove in direzione opposta. È ragionevole pensare che chi nega l’esistenza del riscaldamento globale o i benefici della vaccinazione sia «amico online» di chi ha idee simili. In questo modo trovare informazioni che contraddicano le proprie opinioni diventa ancora più difficile. Questo è un motivo in più perché Google faccia ammenda dei suoi peccati e garantisca che agli argomenti dominati dalla pseudoscienza e dalle teorie del complotto venga rivolto un trattamento responsabile.
(traduzione di Maria Sepa)
«Corriere della Sera» - Supplemento "La lettura" del 22 gennaio 2012

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