20 gennaio 2012

La Russia rinasce con Dostoevskij

Lettere e società
di Alessandra Zaccuri
«In Russia il comunismo ha peccato di ingenuità: non si può togliere Dio a un popolo che legge Dostoevskij. Sarebbe come illudersi di poter togliere Dio a un popolo che legge Dante». Parola di Tat’jana Kasatkina, che presso l’Accademia delle scienze di Mosca presiede appunto la commissione per lo studio dell’autore di Delitto e castigo. Filologa e critica letteraria, da qualche anno è di casa nel nostro Paese, come testimoniano le conversazioni raccolte in Dal paradiso all’inferno (Itaca Libri, a cura di Elena Mazzola, pagine 224, euro 14,00), tutte incentrate sull’indagine dei «confini dell’umano in Dostoevskij». Ieri sera, a Milano, la professoressa Kasatkina ha partecipato al Teatro Dal Verme alla serata di letture dostoevskijane affidata alla voce di Massimo Popolizio all’interno del ciclo “Le forze che muovono la storia” organizzato dal Centro culturale di Milano (per informazioni www.cmc.milano.it); giovedì alle 18 sarà a Brescia, per un incontro nell’Aula magna dell’Università cattolica, e domenica alle 18 a Roma, presso la sala del Centro internazionale di via Malpighi 2. «Dostoevskij – osserva – è lo scrittore russo della sua epoca più vicino ai lettori di oggi, giovani compresi. Più di Tolstoj, grandissimo romanziere, certo, che però finisce per allontanarsi da noi per la sua preoccupazione di impartire precetti morali. Si presenta come un maestro, vuole insegnarci la bontà, ma davanti a questa pretesa l’essere umano si sottrae, perché intuisce l’accusa nascosta in un simile atteggiamento: “Così non va bene, pare che sostenga Tolstoj, non sei come dovresti essere, non sei abbastanza buono”. Dostoevskij, al contrario, lancia un richiamo al qual l’essere umano non può non rispondere. “Sii, dice a ciascuno di noi, diventa te stesso”. È una sfida completamente diversa, che implica il rischio, l’avventura, un totale abbandono all’inatteso».
Anche il pericolo di perdersi? Il concetto dostoevskijano di «sottosuolo» non è del tutto rassicurante ...
«Perché viene frainteso. Nei Ricordi del sottosuolo Dostoevskij rappresenta l’uomo del suo tempo, al quale non è stata neppure data la possibilità di credere in Dio. Una condizione terribile, con il mondo ripiegato su se stesso, chiuso a ogni occasione di incontro con l’Assoluto. È il momento in cui l’umanità crede di salvarsi con le sue sole forze, facendo affidamento sulla propria intelligenza. Il cosiddetto “uomo del sottosuolo” non rappresenta il nostro lato di tenebra, ma il disaccordo radicale nei confronti di questa limitazione. Sente di essere più grande di ciò che gli viene imposto, è come se dovesse sottoporsi a un intervento chirurgico che lo mutili per adeguarlo alle richieste della mentalità corrente. Ma lui sa che nella sua persona non c’è nulla di superfluo e quindi non può smettere di picchiare conto la “parete di pietra” eretta dalle leggi di natura, a causa della quale sarebbe condannato a un’esistenza solo orizzontale. Del resto, già prima di scrivere Ricordi del sottosuolo, in alcune pagine poi espunte da Memoria da una casa morta Dostoevskij aveva affermato con chiarezza che la vera pena non sta nella sofferenza e neppure nella reclusione: l’uomo soffre veramente solo quando sa di non essere più libero».
E qui torniamo all’era sovietica, al suo primo incontro con Dostoevskij.
«Ho scoperto L’idiota a undici anni: allora non potevamo conoscere il Vangelo, ma potevamo conoscere il principe Myskin. È stata la mia e la nostra salvezza. Dostoevskij ci ha fatto capire che eravamo costretti a vivere sotto un cielo artificiale. Meglio, sotto una stuoia che era stata stesa al posto del cielo. Intendiamoci, anche oggi c’è qualcuno che si adatta a stare sotto una specie di ombrello che lo separa da Dio. Ma per la maggior parte di noi quella era la morte. Dostoevskij è stato più di uno scrittore: è stata la persona che ci ha aiutato a liberarci di quella stuoia, in modo da ritrovare il cielo. Andando oltre la parete di pietra, insomma».
Vale anche per la Russia di oggi?
«Dopo le scorse elezioni è accaduto qualcosa di sorprendente per la sua naturalezza. A Mosca sono scese in piazza non meno di trentamila persone (cinquantamila, secondo alcuni), non con l’intento di creare disordini, ma per guardare finalmente il potere negli occhi. “Non capiamo come sia possibile continuare a mentire così”, questa è la sostanza della ribellione, che coincide con la richiesta di essere trattati non come sudditi, bensì come esseri umani. Le proposte che hanno preso a circolare sul web non sono rivolte alle autorità, ma ai singoli cittadini, alle persone nella loro straordinaria e irripetibile singolarità. Il compito è lo stesso indicato da Dostoevskij: “Sii”, e cioè “diventa uomo in tutta la tua pienezza, lì dove ti trovi, in ciò che fai ogni giorno”. La vera rivoluzione russa sta in questo cambiamento interiore, che prescinde dai passi che il governo vorrà o non vorrà compiere».
«Avvenire» del 17 gennaio 2012

Nessun commento: