31 agosto 2011

Resistenti, indifferenti e «collabò»: l’intellighenzia francese sotto Hitler

Dal duro e puro Malraux alla tiepida Piaf fino al compromesso Simenon: ecco come si comportò il mondo culturale nella Parigi occupata dai nazisti
di Eugenio Di Rienzo
La nostra memoria visiva conserva alcune indimenticabili testimonianze della «strana disfatta» della Francia nel secondo conflitto mondiale, culminata con l’ingresso delle truppe naziste a Parigi il 14 giugno 1940. La sfilata trionfale dei reparti della Wehrmacht, lungo gli Champs-Élysées, di fronte alla cittadinanza stordita dall’incredulità e dalla disperazione. La visita-lampo di Adolf Hitler al Sacro Cuore e alla Torre Eiffel, alla luce incerta della livida alba del 23 giugno. Infine, un grande film del 1980 (L’ultimo métro di François Truffaut) che narra le vicissitudini di un regista e impresario ebreo, nascosto nella cantina di un teatro parigino per sfuggire alla cattura e per continuare a dirigere, da quel rifugio, le rappresentazioni delle sue commedie.
La pellicola, interpretata da Catherine Deneuve e Gérard Depardieu, costituisce la migliore introduzione alla lettura dell’affascinante volume di Dan Franck, Mezzanotte a Parigi (Garzanti, pagg. 508, euro 25), dedicato a «La capitale della cultura mondiale nel momento più difficile dell’occupazione nazista», come recita il sottotitolo. Un saggio che analizza con grande ricchezza di particolari le vicende dei tanti scrittori, artisti, accademici, attori, registi, esponenti del mondo della moda (non solo francesi ma anche esuli provenienti dai più diversi paesi europei) divisi tra intesa con l’invasore, resistenza, fuga, deportazione, nel lungo arco temporale che si concluse, il 25 agosto 1944, con la liberazione della nuova Atene, adagiata sul bordo della Senna, da parte dei reparti corazzati gaullisti guidati dal generale Leclerc.
La storia di questa comunità intellettuale, schiacciata dal tallone di ferro nazista, fu soprattutto la storia di una grande diaspora non solo geografica ma soprattutto ideologica e politica. Mentre il filosofo tedesco Walter Benjamin cercò senza successo di abbandonare la Francia, dove la sua origine ebraica lo avrebbe condannato alla deportazione, morendo stroncato da un infarto durante il tentativo di sconfinare in Spagna, lo storico March Bloch si unì alle formazioni partigiane per terminare la sua esistenza sotto i colpi di un plotone di esecuzione. Anche romanzieri e poeti di fama internazionale - Aragon, Malraux, Mauriac, Saint-Exupéry - parteciparono attivamente al movimento anti-tedesco, imbracciando le armi o svolgendo un’intensa propaganda clandestina la cui espressione meglio riuscita furono I Consigli all’occupato, redatti dal giornalista socialista Jean Texier, dove si forniva un succinto decalogo per contribuire all’isolamento morale e materiale delle forze di occupazione.
Altri, invece, come Maurice Chevalier, Sacha Guitry, la Chanel e la Piaf, imboccarono la più agevole strada dell’accomodamento con le autorità tedesche, giustificando, poi, quella scelta con l’alibi di dover continuare il proprio mestiere anche in una Paese dove l’intera produzione cinematografica e drammatica era rigidamente controllata dal Ministero della Propaganda di «Herr Goebbles». Altri ancora (Céline, Dieu La Rochelle, Montherlant) non si accontentarono di restare nell’ambigua «zona grigia», ma entrarono nell’area nera del collaborazionismo militante, spinti da interessi economici ma più spesso da sincere motivazioni come accadde per Robert Brasillach.
Caporedattore del settimanale Je suis partout, nelle cui pagine feroci incitamenti all’odio antigiudaico si alternavano all’entusiastica apologia del Nazionalsocialismo, Brasillach, catturato nel settembre del ’44, venne condannato, dopo un processo farsa durato venti minuti, alla pena capitale. La sentenza fu eseguita, il 6 febbraio ’45, nonostante la mobilitazione in suo favore degli studenti della Sorbona e la richiesta di grazia indirizzata al generale Charles de Gaulle dai grandi nomi dell’intellighenzia parigina e dal più fermo oppositore del regime di Vichy, Jean Paulhan, fondatore della rivista Résistance che, largamente diffusa, contribuì potentemente alla rinascita del sentimento nazionale francese. La levata di scudi per ottenere la salvezza di Brasillach era giustificata dai firmatati dell’appello dal fatto che la liberazione della Francia aveva messo in moto un meccanismo di punizione dei collaborazionisti, connotato da parzialità e indulgenza, nel quale il numero dei «salvati» superava di molto quello dei «sommersi». In questo clima, sostenne Paulhan, Brasillach era divenuto un semplice capro espiatorio, sacrificato per assicurare l’impunità a molti altri colpevoli il cui tradimento rimase per decenni sepolto nel silenzio. Soltanto grazie alla biografia di Pierre Assouline, pubblicata nel 1992, si è appreso, infatti, che Georges Simenon, intrattenne cordiali rapporti con gli alti comandi tedeschi, si arricchì scrivendo per il cinema e la stampa periodica gestiti dai nazisti e arrivò addirittura a vendere l’esclusiva del personaggio del Commissario Maigret all’industria cinematografica germanica.
«Il Giornale» del 31 agosto 2011

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