14 luglio 2011

La poesia può avere ancora una parola civile

di Guido Oldani

L’estate porta consiglio e a renderci questa stagione un po’ una bella estate ci prova Paolo Di Stefano con le sue accorte riflessioni, tra le pagine del Corriere della Sera, sulla poesia contemporanea. Gli hanno fatto seguito le aggiunte di Andrea Cortellessa e l’interlocuzione di Daniela Marcheschi. Con la caduta libera, non solo della borsa e dello stato, ma soprattutto dell’attenzione verso la poesia, sia editoriale che giornalistica, il solo parlarne è di per sé un vantaggio non trascurabile. Manca ad esempio oggi una adeguata presa d’atto del lavoro delle riviste letterarie. Non è giovevole consultare «Kamen’» anziché «Smerilliana», oppure «Incroci» e così via per sentire più da presso che aria stia tirando? Si dice che il canone sia finito; come potrebbe essere altrimenti? In questo decennio, ogni anno conta un secolo, per indagare quello che è successo. Si pensi al Futurismo con la sua velocità degli oggetti, oggi è il contrario: sono i corpi umani a muoversi fra urti e attriti di ogni fragorosa rumorosità. Se l’oggetto diventa dunque soggetto, sarà la natura a somigliare a costoro e le nostre similitudini si rovesceranno clamorosamente.
Non è questo un canone? o meglio, il canone? Certamente, nuovo e soprattutto coatto. Basti andare a leggere nei testi di poeti d’ogni età e si riscontra crescere il fenomeno per cui il gabbiano somiglia all’aereo e non vice versa. Canone strisciante ed epidemico.
E’ successo che il pesce è diventato volatile ed allora non è più molto utile registrare il nuoto ma è meglio occuparsi del volo.
Questa è la «damnatio» della visuale poetica contemporanea, a mio avviso. Del resto se si osservano le raccolte di poeti già costruiti , si ritrova in alcuni di loro una odierna diversificazione sorprendente e alle volte, apparentemente non giustificata, quasi persino un po’ allo sbando.
Non è un fatto a caso che di fronte a questo concerto gli storici della letteratura se ne stiano rannicchiati e, se non sbaglio, solo la monumentale opera di Daniele Maria Pegorari si è prodotta circa il lavoro poetico che va dal 1968 al 2008. Può essere interessante notare, che proprio in questi giorni è uscita un’antologia 'Poeti del 2000' condotta dal nordico Giuliano Ladolfi, direttore della rivista «Atelier», ma edita dialetticamente dalla barese casa editrice Palomar. In questa antologia, con 25 autori, in quattro fasce anagrafiche successive, si indica che l’orientamento in corso nella poesia sia esattamente quello di una impennata dell’interesse per la realtà. Non vado oltre, quello che qui preme è di notare che la realtà corpo­oggetti schiaccia i corpi al punto che questi non possono non esclamare qualcosa anche poeticamente. Quanto alla qualità, è probabile che sia maggiore fra i poeti che non fra i narratori, ma la poesia, mediamente è più lontana, della narrativa, dalla realtà. Come a dire che nella poesia la realtà fino a ieri era pochina. La poesia oggi non può fare breccia perché è troppo estranea alla nuova modalità di essere del reale.
Bertolucci, Luzi e Sanguineti sono legati al reale, come esso era prima delle 'pandemie abitative' e perciò più lontani da noi di quanto non lo siano Dante ed Omero che vivono fuori dall’artificiosità letteraria. Ed infine; la poesia civile? E’ una bella questione, dal momento che, se non erro, non esiste quasi più una società civile e non è facile trovare in giro chi sia disposto a pagare un solo baiocco in nome di una qualsivoglia opinione, se non proprio idea. Dunque, abbiamo lasciato una galassia e siamo entrati in un cantiere dove , se non si sta attenti, i carichi sospesi rischiano di mettere a repentaglio l’esistenza poetica della poesia e dei poeti, e non solo essa e non solo loro.

«Avvenire» del 14 luglio 2011

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