06 marzo 2011

Un "pool" di firme per il Duce

I diari di Giovanni Ansaldo svelano il mistero. Al documento lavorarono in tre: Longanesi, Steno e (soprattutto) Montanelli
di Francesco Perfetti
Le prime copie delle Memorie del cameriere di Mussolini firmate da Quinto Navarra uscirono ad agosto del ’46 per la Longanesi&C., fondata all’inizio di febbraio da Leo Longanesi e Giovanni Monti. Dietro la paternità di questo volume fortunato c’è una storia molto curiosa.
Longanesi, all’indomani della caduta del fascismo e nell’immediato dopoguerra si ritrovò a fare i conti con le difficoltà di reinserimento nella vita giornalistica e culturale del Paese. Il suo nome appariva a molti compromesso con il passato regime e gli si rimproverava, per esempio, il fatto di aver coniato lo slogan: «Mussolini ha sempre ragione». Molto probabilmente Longanesi, più che un ostracismo politico, scontava l’invidia che la sua intelligenza aveva suscitato e le vendette dei nemici che la sua impertinenza aveva provocato. A Napoli, dove, dopo il 25 luglio, si era rifugiato con alcuni amici tra i quali Steno e Mario Soldati, aveva ripreso l’attività giornalistica occupandosi anche di trasmissioni radiofoniche: proprio con Steno e Soldati aveva messo in piedi la trasmissione satirica Stella bianca, che ottenne grande successo.
Tornato a Roma e poi a Milano, Longanesi, dopo qualche esperienza presso altri editori decise di mettersi in proprio, dopo aver incontrato l’industriale Monti che non esitò a finanziarlo. Si rivolse subito a pochi amici fidati - Indro Montanelli e Giovanni Ansaldo fra questi - invitandoli a collaborare alla nuova impresa. Ad Ansaldo scrisse una lunga lettera in cui, fra l’altro, confessava di essersi deciso a dedicarsi alle edizioni perché si era reso conto che miglior cosa per lui sarebbe stata non fare nulla che lo legasse alla politica. E aggiungeva: «Facendo l’editore sono un datore di lavoro e ho il coltello per il manico. Ho già visto molti di quelli che ci volevano fucilare venire a chiedermi di pubblicare un libro. E lei immagina con quale gusto abbia detto di no. Gli anni passano, il mondo sembra spezzarsi, ma, alla fine, le regole della nostra vita sono sempre le stesse. Perciò ho abbracciato la causa dei padroni e morirò combattendo per quella, perché sono padrone anch’io. Non credo che riusciranno a sconfiggerci tanto facilmente».
Le origini della casa editrice Longanesi c’entrano, più di quanto si pensi, con la storia delle memorie di Quinto Navarra. C’entrano, perché questa casa editrice era un’azienda sui generis. Il fondatore non si limitata a dirigerla e a pubblicare libri. Voleva che avesse un suo carattere e che i suoi volumi avessero un proprio riconoscibile stile, anche linguistico. Così, alcuni dei suoi sodali e lui stesso si abituarono a fare un lavoro di editing che, in qualche caso, era addirittura di riscrittura. Longanesi non solo cercava e sceglieva i libri, ma dava anche indicazioni e idee per scriverne. Lo fece con Spadolini, Monelli, Flaiano e tanti altri.
Le Memorie del cameriere di Mussolini sono la dimostrazione della genialità di Longanesi, il quale seppe per caso che a Roma viveva un certo Quinto Navarra, che era stato per tanti anni commesso di Mussolini. Si mise in contatto con lui e gli fece un contratto di 50mila lire più una percentuale sulle vendite. Oltre a fornire il manoscritto che, a detta di Ansaldo, «non valeva nulla», Navarra si impegnò a raccontare a Longanesi fatti, notizie, ricordi per rimpolpare il volume. Ebbero così inizio i colloqui di Longanesi con Navarra, il quale, a quanto si racconta, qualche volta si impuntava sospettoso di fronte a domande che gli apparivano troppo pettegole o scandalistiche. Navarra non voleva - e aveva preteso che ciò fosse contrattualmente stabilito - che il libro avesse un carattere troppo antimussoliniano. A un certo punto i colloqui si interruppero o diventarono problematici perché Navarra fu colpito da una semiparalisi.
A questo punto Longanesi affidò a Steno la prima stesura del lavoro. Poi lo prese in mano lui direttamente e, con Montanelli, lo ritoccò, lo ampliò inserendovi aneddoti e battute che non erano di Navarra, ma provenivano da altre fonti. Giovanni Ansaldo, nel suo diario, annotò la storia delle Memorie del cameriere di Mussolini, facendo notare che con il contratto Longanesi aveva acquistato «non già un’opera, ma la possibilità di un’opera» e che dal lavoro a più mani era venuto fuori «un monstrum composito, di cui il Navarra non è affatto l’autore, ma semplicemente il gerente; un volume la cui serietà come documento è molto discutibile, ma la cui importanza come tentativo di comprensione psicologica di Mussolini è notevole». Gli storici, poi, queste memorie le hanno prese sul serio e non c’è biografia - dal gustoso Mussolini piccolo borghese di Paolo Monelli, ai quattro volumi di Mussolini. L’uomo e l’opera di Giorgio Pini e Duilio Susmel fino al grande lavoro di Renzo De Felice - che non vi attinga.
Navarra, quando vide il libro, si inalberò e pensò di far causa a Longanesi perché gli sembrava che avesse un tono troppo antimussoliniano. Ma poi decise di soprassedere. Commentando questi eventi, dopo che Longanesi, al termine di una cena con amici a Milano, gli ebbe regalato «con visibile sforzo» una copia del libro, Giovanni Ansaldo scrisse nel diario che Navarra aveva torto e aggiunse: «Longanesi tenne fede all’impegno. Del resto, Longanesi, di fronte alla memoria di Mussolini, è in uno stato d’animo e di giudizio ben diverso dall’antifascismo volgare. Non inveisce, non accusa, affatto, né ironizza con quella punta che aveva quando il dittatore era vivo. Si direbbe che la fine di lui abbia indotto nell’animo suo una specie di mezza ammirazione segreta; ma non tanto segreta. L’altra sera mi diceva che tutto sommato Mussolini chiude la serie dei grossi italiani moderni: “l’ultimo fico del bigoncio”».
Nessun giallo, quindi, dietro la pubblicazione delle Memorie del cameriere di Mussolini, ma, come si diceva, una storia curiosa, ed emblematica, di un’Italia da poco uscita dal fascismo e sensibile, ancora, alle suggestioni dell’uomo di Predappio.
«Il Giornale» del 4 marzo 2011

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