09 marzo 2011

Analisi del testo dello strappo del cielo di carta e della lanterninosofia

di Baldi-Giusso-Razetti-Zaccaria, Dal testo alla storia. Dalla storia al testo, vol. 3/2 – Svevo e Pirandello. Edizione modulare, pp. 157-158
Lo «strappo nel cielo di carta». Nei due passi, in forme metaforiche diverse ma equivalenti, viene toccato un punto centrale delle concezioni pirandelliane, la critica alla consistenza dell'io e all'oggettività della realtà ad esso esterna. La metafora delle marionette e del loro teatrino allude al fatto che, per Pirandello, la nostra personalità è una costruzione fittizia, una maschera che indossiamo, al di sotto della quale non c'è nulla, e che la realtà che ci circonda è anch'essa una costruzione nostra, una proiezione di comodo della nostra soggettività. Basta un nulla però per mettere in crisi tali costruzioni, come, appunto, lo strappo che si produce nel cielo di carta del teatrino. Quel cielo è falso, ma la marionetta è abituata a considerarlo vero. Lo strappo che vi si produce denuncia all'improvviso la sua falsità, e la marionetta entra in crisi, non riesce più ad aderire alla sua "parte", è costretta a vedere se stessa e la realtà in modo nuovo, straniato, e tutte le sue abituali certezze si dissolvono, condannandola alla paralisi. Così il nostro agire è possibile solo se crediamo alle nostre costruzioni, prendiamo per vere le nostre proiezioni soggettive, ignoriamo il carattere convenzionale della realtà che ci circonda. Lo «strappo», l'incidente casuale e banale che ne svela la convenzionalità, ci obbliga a prendere coscienza e ci impedisce la spontaneità irriflessa dell'azione, ci riempie di dubbi, ci paralizza. Tutte le nostre certezze e i nostri punti di riferimento si sfaldano, restiamo perplessi e smarriti.
E questa appunto la condizione moderna, dopo che sono entrati in crisi i grandi sistemi di certezze, le fedi incrollabili del passato, che costituivano i punti di riferimento della vita. Il primo di questi momenti di crisi, da cui è nata l'età moderna, come Pirandello osserva nella Premessa seconda (filosofica) al romanzo, è stata la teoria copernicana, che ha sconvolto le certezze precedenti sulla terra immobile al centro dell'universo e tutti i sistemi di riferimento dell'uomo. Oreste, l'eroe tragico classico che va dritto al suo scopo, vendicare la morte del padre Agamennone, rappresenta l'uomo che non ha ancora subito il trauma del crollo di tutte le certezze tradizionali, e quindi si prende interamente sul serio, può procedere nella sua azione sicuro e de-terminato. Amleto invece, che nel suo proposito di vendicare il padre è corroso da infinite perplessità, rappresenta l'uomo moderno, che viene dopo la grande crisi, e quindi è paralizzato dalla consapevolezza della convenzionalità del reale, inibito nell'agire.

La «lanterninosofia». La «lanterninosofia» di Paleari, con immagini d'altra natura, esprime concetti analoghi. Il cerchio limitato di luce proiettato dal lanternino allude anch'esso al carattere fittizio che è proprio del nostro io e all'inconsistenza della realtà oggettiva, che non è se non una proiezione del nostro sentimento soggettivo. Il cerchio di luce segna artificiosamente il confine tra io e non io e ci fa guardare alle tenebre al di là di esso come a qualcosa di ignoto e pauroso. Oltre alle costruzioni individuali vi sono poi quelle collettive, i «lanternoni», le fedi, le ideologie, i sistemi di valori («Verità, Virtù, Bellezza, Onore»), che ci servono da punti di orientamento, dando sicurezza al nostro vivere. Talora questi «lanternoni» si spengono: è questo l'equivalente dello «strappo nel cielo di carta» del teatrino delle marionette: gli uomini piombano allora in un ì angoscioso smarrimento. Sono le epoche di grandi crisi, in cui crollano i moduli d'ordine della realtà, i sistemi di certezze. Tale è l'epoca sua, suggerisce Pirandello per bocca di Paleari («Mi pare, signor Meis, che noi ci troviamo adesso in uno di questi momenti»), un'epoca in cui tutti i punti saldi di riferimento del passato, la fede religiosa e la fede positivistica nella scienza, sono crollati, anche se molti non vogliono arrendersi e restano ad essi ostinatamente aggrappati (»Molti ancora vanno nelle chiese per provvedere dell'alimento necessario le loro lanternucce. [...] Altri invece, che si credono armati, come tanti Giove, del fulmine domato dalla scienza, e, in luogo di quelle lanternucce, recano in trionfo le lampadine elettriche...»). Ma la prospettiva di Paleari, dinanzi a questa crisi moderna, non è negativa: se il cerchio di luce dell'io è ingannevole, l'ombra che si stende al di là di esso non ci deve far paura. Anche il mistero angoscioso è una proiezione nostra. La luce ci imprigiona, ci esclude dalla «vita universale, eterna»: ma in realtà non ci siamo mai veramente staccati da essa, se non nella nostra ingannevole percezione soggettiva, che ci faceva sentire degli individui in sé conclusi. La morte spezza questa illusione, ci fa prendere coscienza del fatto che siamo sempre rimasti immersi nel flusso vitale, e ci libera del «sentimento d'esilio che ci angoscia».
Sono riconoscibili in queste teorie le concezioni stesse di Pirandello, come prova il fatto che le pagine sulla «lanterninosofia» ritornano quasi identiche nel saggio L'umorismo. Al contrario, dinanzi ai discorsi del vecchio Paleari, Mattia Pascal ostenta fastidio e disprezzo, dimostrando di non coglierne il senso. È questa la prova, come si vedrà meglio nel Ml, del fatto che l'eroe, in questa fase della sua esperienza, non si è ancora liberato dei pregiudizi comuni, resta attaccato all'idea della personalità individuale, non si è elevato ad una superiore consapevolezza «filosofica». Per questo non arriva a capire le teorie di Paleari, che smantellano proprio la fede nell'identità personale.

La crisi del personaggio. La crisi del concetto classico di persona coinvolge anche, sul piano formale della costruzione narrativa, la concezione pirandelliana del personaggio. Come lo scrittore puntualizza lucidamente nell'Umorismo, nell'arte moderna non è più possibile il personaggio a tutto tondo, unitario e armonico, che era proprio dell'epica e della tragedia. La consapevolezza della convenzionalità delle visioni del mondo, del carattere soggettivo e fittizio della cosiddetta "realtà", del relativismo di ogni verità o punto di vista, trasforma appunto Oreste, il tipico personaggio classico, sicuro e coerente, in Amleto, il personaggio moderno diviso, perplesso, sdoppiato, che si guarda vivere anziché vivere con immediatezza. Proprio Mattia Pascal è l'esempio più significativo di questa nuova concezione del personaggio: «inetto a tutto», intima-mente sdoppiato, sempre in atto di «vedersi vivere» come riflesso in uno specchio, in lui si sovrappongono personalità diverse e contrastanti, che non possono trovare un punto d'accordo, un'armonia. Se il disgregarsi di un ordine oggettivo della realtà disgrega la persona, mette in crisi l'identità e ne dimostra la convenzionalità fittizia, anche sul piano formale il personaggio romanzesco non può che essere diviso tra diverse identità. Non è più persona, carattere coerente (come ancora voleva il grande realismo borghese ottocentesco, sino al Naturalismo), ma nessuno o centomila, pura aggregazione casuale di stati diversi, contraddittori, in fluida successione, in continuo divenire. Pascal, che si aggrappa all'idea di identità, si illude ancora di essere un personaggio, ma Pirandello sa bene che non lo è, e lo guarda dall'esterno, con occhio «umoristico», scomponendo gli eterogenei elementi della sua personalità.
Postato il 9 marzo 2011

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