07 febbraio 2011

La vegetazione malata del Decadentismo

di Baldi-Giusso-Razetti-Zaccaria, Dal testo alla storia. Dalla storia al testo, vol. 3/1. D’Annunzio e Pascoli

La «digitale purpurea» di Pascoli, dai fiori simili a «dita spruzzolate di sangue, dita umane», si collega, insieme con il «vischio» dell’omonima poesia, ad un tema particolarmente caro alla letteratura del Decadentismo: quello della vegetazione malata, mostruosa, oscena, velenosa, nella quale sembra materializzarsi in un pregnante emblema il compiacimento decadente per tutto ciò che è impuro, corrotto, malsano.
La sensitiva di Shelley Il motivo era già comparso in area romantica nel poemetto di Percy Bysshe Shelley, La sensitiva (1820): «Cominciarono a crescere le erbacce più immonde / le cui ruvide foglie erano maculate come il ventre / del serpe d’acqua o la schiena del rospo...» (traduzione di Roberto Sanesi).
La figlia di Rapaccini di Hawthorne Si era riproposta nell’inquietante racconto "nero" dello scrittore americano Nathaniel Hawthorne (1804-1864), La figlia di Rapaccini, in cui una fanciulla coltiva un giardino di piante velenose.
La curée di Zola Aveva poi affascinato la fantasia ancora sfrenatamente romantica del primo Zola, che confessava il suo «gusto depravato» per i «sughi letterari fortemente speziati», «per le opere di decadenza in cui una sorta di sensibilità malata prende il posto della sanità prosperosa delle epoche classiche». Infatti nella Curée (1872) l’incesto tra una matrigna e il figliastro si consuma sullo sfondo di una torrida serra, dove prolifera una mostruosa vegetazione tropicale. Ecco un piccolo ma significativo esempio della descrizione, sensuale ed affascinata: «Ma ciò che, a tutte le svolte del viale, colpiva lo sguardo, era un grande ibisco della Cina [...]. I larghi fiori purpurei di tale specie di malva gigantesca, che rinascono senza posa, non vivono che qualche ora. Li si sarebbe detti delle bocche sensuali di donne che s’aprivano, le labbra rosse, molli e umide di qualche Messalina gigante, che dei baci straziavano, e che sempre rinascevano con il loro sorriso avido e sanguinante» (traduzione nostra).
La colpa dell’abate Mouret Il motivo torna in Zola con l’immenso parco abbandonato e selvaggio del romanzo La colpa dell’abate Mouret (1875), in cui cresce sfrenatamente una vegetazione orgiastica e mostruosa nella sua vitalità, ripugnante e venefica: «Dei cortei di papaveri se ne andavano in fila puzzando di morte, schiudendo i loro grevi fiori di uno splendore febbrile [...]. Dei tozzi datura [piante medicinali] allargavano i loro cartocci violacei, dove gli insetti, stanchi di vivere, venivano a bere il veleno del suicidio» (traduzione nostra).
Controcorrente di Huysmans Il motivo non può mancare in quella sorta di bibbia del Decadentismo più malato e perverso che è Controcorrente di Huysmans (1884), su cui l’influenza di Zola è forte, ma che accentua soprattutto il carattere malato e repellente dei fiori rari: «I giardinieri portarono ancora nuove varietà: esse ostentavano, stavolta, un’apparenza di pelle artificiale solcata di false vene; e per lo più, come corrose dalla sifilide e dalla lebbra, tendevano delle carni livide, marmorizzate di roseola, damascate da erpeti; altre avevano il tono rosa vivo delle cicatrici che si chiudono o la tinta bruna delle croste che si formano; altre erano cosparse di bolle come determinate da cauteri, gonfiate da bruciature, altre ancora mostravano epidermidi pelose, scavate da ulcere e come lavorate a sbalzo da tumori» (traduzione nostra).
L’inconsapevole di D’Annunzio Il tema parimenti non poteva non colpire il gusto perverso di D’Annunzio. L’Intermezzo di rime, nella sua prima edizione del 1883, si apre con un sonetto poi intolato L’inconsapevole, in cui il giovane poeta paragona i propri versi malati alle piante mostruose, dalle inquietanti forme umane, che crescono alimentate dai liquidi di un carname in putrefazione: «Come da la putredine le vite / nuove crescono in denso brulicame / e strane piante balzano nutrite / da li umori corrotti d’un carname: // sgorgano i grandi fior’ quali ferite / fresche di sangue con un giallo stame / e crisalidi enormi seppellite / stanno tra la pelurie del fogliame: // così dentro il mio cuore una maligna / flora di versi gonfiasi; le foglie / vanno esalando un triste odore umano. // Attratta da fulgor de la sanguigna / tinta l’inconsapevole ne coglie; / e il tossico le morde acre la mano». Come si vede, compare nel sonetto anche la figura di una fanciulla ingenua che, attratta dal colore rosso sanguigno, coglie il fiore e ne resta avvelenata. II testo dannunziano, come ha indicato Getto, deve aver esercitato qualche suggestione su Digitale purpurea di Pascoli, nell’immagine del fiore sanguigno e della fanciulla che ne è attratta e ne assorbe il veleno. Ma per entrambi vi è una fonte comune, un passo della Storia del Romanticismo di Théophile Gautier in cui, a proposito dei Fiori del male di Baudelaire, si richiama proprio la novella di Hawthorne che si è sopra ricordata.
Il libro delle vergini Sul motivo D’Annunzio torna ancora ossessivamente in Favola sentimentale, un racconto del Libro delle vergini (1884; ma il testo era già uscito in rivista nel 1882): «Dietro la villa, in un pezzo di terreno, una vegetazione malaticcia e pingue sonnecchiava nell’ombra; erano grosse foglie carnose di un bruno tendente al violetto, cosparse di pelurie come una muffa; erano ramificazioni nane, ignude, simili a rettili morti o a bruchi enormi; erano lame piatte di un verde pallido, rigate di bianco e macchiate come dorsi di rane. [...] Certi calici di un roseo di pelle umana si gonfiavano su li steli contorti; certe bocche di uno scarlatto cupo emettevano stami simili a piccole lingue giallicce. I petali avevano come il viscidume dei funghi ...; in torno, nell’autunno, le vitalbe sembravano viluppi di ragni pelosi o mazzi di piume grigiastre».
Una metafora dell’inconscio In questa immagine della vegetazione mostruosa e repellente, che affascina gli scrittori romantico-decadenti, si può vedere una trascrizione metaforica dell’inconscio, in cui proliferano i "mostri", gli impulsi perversi e inconfessabili, che la coscienza respinge e che urgono sotto la sua superficie. E sappiamo come l’inconscio sia una grande scoperta letteraria del Decadentismo.
Postato il 7 febbraio 2011

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