08 febbraio 2011

E l’eccesso trionfi

A giorni in libreria l’ultima opera di Giulio Carlo Argan sul Barocco. Il ruolo sociale dell’artista, il gusto per la sperimentazione e la tecnica
di Giulio Carlo Argan
L’arte barocca di Giulio Carlo Argan, uscirà fra pochi giorni edito da Newton Compton. Anticipiamo un brano del grande critico che ha compiuto ottant’anni pochi qiorni fa
Si accusa l’arte de Seicento d’essere oratoria, celebrativa, tutta rivolta all’esaltazione dei grandi e delle sorgenti divine dell’autorità, benché, come ha osservato il Croce, questa mania di grandezza abbia la sua controparte nel gusto della descrizione minuta, particolaristica, talvolta pedante; e spesso si distingue tra un’arte di corte, con la sua «maniera grande» e un’arte borghese, con la sua maniera dimessa e descrittiva, identificando poi la prima col cosiddetto classicismo barocco italiano e francese e la seconda con l’arte fiamminga e olandese. È una distinzione che non regge alla critica perché nell’arte italiana e francese vi sono almeno altrettanti esempi di arte «di genere» quanti sono, nell’arte fiamminga e olandese, gli esempi di «storia» (basti pensare a Rubens e a Rembrandt), e non di rado vediamo gli stessi artisti impegnati nelle due ricerche, che rientrano, per analogia o per contraddizione, nelle stesso ambito culturale.
Per spiegare l’apparente contraddizione bisogna tenere presente la nuova posizione dell’artista nella società. Il suo prestigio è indubbiamente minore che nel secolo precedente, quando era il protetto, il famigliare, il consigliere di pontefici, principi, signori; ma in compenso la sua autonomia professionale è molto maggiore. È ormai un professionista borghese come il medico o l’avvocato; com tale, dispone di una tecnica specifica e questa tecnica è anche una cultura perché non si riferisce soltanto all’esecuzione materiale delle opere ma anche alla formulazione e all’elaborazione delle immagini: infatti gli si chiede d’intervenire in tutti i fatti che implicano uno spiegamento d’immagini (spettacoli, apparati per feste per e funerali, ideazione di costumi di gala ecc.). Principi e sovrani sono soltanto i grandi clienti dell’artista: accanto ad essi v’è un’altra clientela, la borghesia ricca, e attraverso le riproduzioni a stampa, l’opera d’arte raggiunge anche i ceti minori. Il sistema della commissione diretta dell’opera si avvia alla fine, tra l’artista e il pubblico comincia a interporsi il mercante; gli artisti, o quanto meno i pittori, cominciano a lavorare senza commissione producendo opere che saranno disponibili per chiunque possa pagarle. La pittura «di genere» crea tipi di figurazione che non rispondono all’interesse di un singolo committente ma di tutto un ceto: gli artisti lavorano ormai per un pubblico che è influenzato dalla loro opera ma, a sua volta, la influenza con le proprie aspirazioni, le proprie opinioni, le proprie richieste. Si sviluppa una critica, vivacemente interessata e, si direbbe oggi, di tendenza: se l’arte deve esercitare una funzione nella società è necessario spiegare le intenzioni e i procedimenti degli artisti. L’arte è una tecnica della persuasione e la persuasione implica un rapporto aperto, bilaterale: se fosse a senso unico, dall’alto al basso, sarei be prescrizione e per esplicarsi non avrebbe bisogno della forza suggestiva delle immagini. Alla volontà di persuadere deve corrispondere l’attitudine a essere persuasi: l’arte non è soltanto il prodotto di persone dotate di una forte immaginazione, ma sviluppa ed educa l’immaginazione, sicché questa acquista il valore di un processo mentale essenziale. Del resto, non può esservi interesse sociale e politico senza un’immaginazione sociale e politica, cioè senza la capacità di prevedere alle azioni che si compiono sviluppi di eventi che, pur avendo un’indispensabile premessa nel passato, non possono concepirsi come semplici effetti di certe cause.
L’immaginazione sociale e politica è un fatto nuovo, ed è la controparte dello spirito pratico della borghesia, della sua positiva concezione dell’esistenza: ed è anche la sorgente della sua spinta progressiva. Il fatto stesso che gli artisti non siano più cortigiani ma professionisti borghesi lascia credere che la distinzione tradizionale tra un’arte aulica legata al potere e un’arte dei ceti medi sia molto più apparente che reale. È più ragionevole pensare che l’arte detta aulica, più ancora che uno strumento dell’autorità, sia la rappresentazione dell’autorità secondo la concezione della borghesia non si saprebbe spiegare, altrimenti, perché l’autorità ricorra alla persuasione invece che all’imposizione. D’altra parte la rappresentazione dell’autorità in immagini, per lo più allegoriche, non è certo un modo di renderla immanente ed agente, ma piuttosto di allontanarla, di trasporla dal piano dei fatti a quello delle idee, di renderla più formale che sostanziale. La persuasione, nel momento stesso in cui diventa il mezzo dell’autorità, la dissolve: quando Rubens incarna le grandi idee in fiorenti corpi femminili, indubbiamente antepone l’interesse della comunicazione al livello dei sensi a quello della dimostrazione di concetti astratti.
Come professionista borghese, l’artista è un tecnico, e la nuova classe è estremamente interessata a tutte le possibilità della tecnica e in special modo alla tecnica dell’immaginazione: non bisogna dimenticare che il primo atto della borghesia è la trasformazione della tecnica e dell’organizzazione della produzione artigianale e la creazione del sistema industriale. I cosiddetti «eccessi» d’immagine dell’arte barocca possono certamente apparire incongrui rispetto allo spirito pratico della borghesia; non appariranno più tali quando si rifletta che quegli «eccessi» sono anche virtuosismi tecnici, dimostrazione delle possibilità quasi illimitate della mente e dell’operazione umane. Come tali sono puramente strumentali, espedienti escogitati per raggiungere un fine e precisamente il fine della meraviglia, cioè della rottura con ogni consuetudine e della proiezione del pensiero, per mezzo dell’immaginazione, nel dominio del possibile. L’arte dimostra che anche le immagini più lontane dalla comune esperienza possono, mediante la tecnica, farsi percepibili, credibili, comunicabili: l’immaginazione, infatti, ha una funzione non dissimile da quella che ha, nella scienza, l’ipotesi, e come questa vale assai più per la sua produttività che per il suo eventuale contenuto di vero.
«La Repubblica» del 1989 (mese non specificato)

Nessun commento: