05 gennaio 2011

Romano Luperini, L’artificio dello straniamento

Il critico, ritornando assiduamente su Verga, in un ampio arco di tempo che va dal 1968 al 1989, ha impiegato nella sua indagine tutti gli strumenti critici più aggiornati. Anche nell’analisi delle strutture narrative, studiate con gli strumenti della narratologia, ha conseguito risultati decisivi. Ne diamo un esempio con queste pagine dedicate all’artificio dello "straniamento" in Rosso Malpelo. Si osserverà che il critico non si arresta ad una descrizione formale di "come è fatto" il testo, come in genere è proprio della critica strutturale e semiotica, ma allarga il discorso dai procedimenti formali in sé alla visione che essi veicolano e ai risultati conoscitivi che consentono.

Il narratore, interprete delle «leggi della Natura» e della mentalità della comune degli uomini, è convinto che Rosso sia «cattivo» perché «diverso». Ne consegue che la sua narrazione produce un singolare effetto di straniamento. Nella prosa verghiana di Rosso Malpelo e dei Malavoglia esso non è dovuto soltanto all’attrito fra punto di vista del narratore e punto di vista dell’autore (e del lettore), come avviene negli esempi classici che sono citati dai formalisti russi e in cui l’ottica narrativa è effettivamente «strana» (quella di una piccola contadina nell’episodio del consiglio di guerra in Guerra e pace, quella di un cane o di un cavallo in Cechov o ancora in Tolstoj, quella di un cieco in Korolenko [Vladimir Korolenko (1853-1921), scrittore russo. Il suo racconto Il musicista cieco (1886) è citato dai formalisti russi come esempio di "straniamento", di osservazione di una realtà "normale" da un punto di vista "strano"]). Nel Verga, «normale» è il punto di vista del narratore (che è toutcourt, il punto di vista del mondo) e «strano» chi si comporta secondo una diversa logica. Mentre negli esempi degli scrittori russi l’ottica usata è chiaramente eccezionale per cui lo straniamento si realizza nel rappresentare ciò che è «normale» come se fosse «strano», il Verga rappresenta ciò che è effettivamente «strano» (l’alienazione, la violenza, la sopraffazione nei confronti di Rosso) come se fosse «normale». Non stupisce che la madre non faccia carezze al figlio, stupisce che non sia il figlio a fargliele.
Tutto il racconto è costruito sulla base di questo artificio. Il Verga conosce la realtà ed esprime il proprio giudizio su di essa, come scrittore, non là dove la sua ideologia politica è palese ma proprio qui, nel procedimento di straniamento. Un narratore conosce narrando, tramite la creazione di proprie strutture stilistiche. Quelle qui inventate dal Verga sono fondate sul procedimento di straniamento, nella forma originale che abbiamo detto: il quale dunque non è solo un artificio tecnico per raggiungere l’impersonalità, ma anche una maniera per cogliere l’essenza stessa della realtà, la sua oggettiva assurdità ed invivibilità ed insieme la sua implacabile ed ineluttabile necessità. La voce narrante spiega e giudica gli avvenimenti secondo una logica oggettiva, che è nella natura e insieme nella mente della maggior parte degli uomini: questa logica - una logica di violenza che tende ad escludere il diverso, ad espellerlo dalla comunità - è profondamente stravolta: eppure si tratta - non ci stancheremo di sottolinearlo - di uno stravolgimento oggettivo che è insito nella struttura stessa della società e quindi contro di esso è inutile ribellarsi. L’assurdità di questa logica oggettiva può essere fatta intuire al lettore grazie alla frizione che esiste fra il giudizio della comunità e il senso emergente dal montaggio oggettivo delle sequenze della storia di Malpelo, fra l’ottica economica e violenta della società e il comportamento, alla fine didattico-altruistico, del protagonista, e insomma allo scarto che s’istituisce fra il punto di vista del narratore e quello (sempre taciuto eppure chiaramente percepibile) dell’autore; ma non ha senso denunciarla e contestarla apertamente, perché un’alternativa ad essa, per il Verga, semplicemente non esiste e non può esistere.
Nessuna meraviglia dunque se nella logica stravolta del procedimento di straniamento adoperato dal Verga s’incontrano non solo proposizioni causali che non sono tali, ma anche proposizioni consecutive che sono pseudoconsecutive: dopo la morte del padre, Rosso «era più triste e cattivo del solito», talmente che non mangiava quasi, e il pane lo buttava al cane, quasi non fosse grazia di Dio» [...].
Nel mondo capovolto, nel consorzio degli uomini, la bontà (qui il dolore per la morte del padre) è cattiveria, l’autentico è inautentico: ma lo scrittore non interviene a districare la verità, a ristabilire i giusti rapporti, a rimettere sui piedi la realtà rovesciata: si limita piuttosto a constatarne il carattere implacabile, a prenderne atto con un moto di disperata amarezza, che suscita nel lettore non la rivolta, ma una «impressione di melanconia soffocante», una «gran tristezza». In questa impossibilità dell’autore ad imporre il proprio giudizio (impossibilità che nasce dall’impotenza a fondarlo su alcunché di positivo) e nelle scelte stilistiche conseguenti [...] matura già una narrativa costretta a deporre l’atteggiamento onnisciente dello scrittore tradizionale.
Si capisce allora come l’importanza dell’invenzione compositiva (si pensi al sistema dei personaggi) e stilistica (artificio di regressione [si tratta dell’artificio verghiano per cui il narratore non narra dal suo punto di vista, ma "regredisce" nell’ottica del mondo popolare e primitivo rappresentato. Luperini usa la formula proposta da Guido Baldi, Ideologia e tecnica narrativa in «Rosso Malpelo», in «Lettere italiane», XXV (1973), poi in L’artificio della regressione, Liguori, Napoli 1980], procedimento di straniamento, «pseudooggettività») del Verga in Rosso Malpelo (poi continuata, ripresa ed approfondita nei Malavoglia) vada ricercata soprattutto in due ordini di ragioni, tra loro abbastanza connessi.
Da un lato è grazie a quest’invenzione e comunque in rapporto ad essa che si può parlare di realismo a proposito di Rosso Malpelo: esso non sta tanto (o soltanto) nel suo valore documentario di una condizione sociale di sfruttamento (dove esclusivamente per molto tempo si è andati a cercarlo) quanto piuttosto nella capacità del Verga di cogliere (cioè di conoscere e rappresentare attraverso originali soluzioni espressive) la struttura stessa, conflittuale ed antagonistica, dell’assetto sociale vigente, mostrandone il sistema di violenza su cui si basa e il profondo stravolgimento economico, la logica assurda ed alienata, l’invivibilità che ne consegue e per cui Malpelo si perde.
Dall’altro il procedimento di straniamento, su cui è costruito l’intero racconto, così come poi I Malavoglia, dà un posto di rilievo al Verga nella storia delle strutture formali della narrativa moderna. Il Verga, pur essendo, da buon positivista e da conseguente materialista, convinto dell’oggettività della realtà [...], non può più dare su di essa un giudizio chiaro e definitivo che nasca da una volontà e da una possibilità di modificarla radicalmente; può solo contestarla per via interna, a livello di scelte stilistiche, nello spessore sottile ed «ironico» che s’insinua fra il punto di vista del narratore e il proprio. La negazione cessa di essere ideologica (perché a questo livello lo scrittore non ha più un ruolo e uno spazio) e si contrae su se medesima rischiando un assoluto nichilismo; ma intanto diventa anche un fatto interno alla letterarietà stessa dell’opera: pura rappresentazione, artificio formale. Per questa via il realismo del Verga si conferma più moderno di quanto si possa pensare, forse già un remoto preludio di quello della grande avanguardia europea.

Tratto da Verga e le strutture narrative del realismo. Saggio su «Rosso Malpelo», Liviana, Padova 1976, p. 69-73.
Postato il 5 gennaio 2011

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