08 gennaio 2011

Quando Leopardi augurava una "Buona Befana di m..."

di Massimiliano Parente
Il 6 gennaio 1810, a 11 anni, il poeta scrisse un messaggio ai suoi coetanei. Oggi lo giriamo volentieri a molti genitori. La lettera Chissà che effetto farebbe, oggi, in una famiglia qualsiasi, vedersi recapitare una lettera come quella che Giacomo Leopardi butto giù a undici anni, il 6 gennaio 1810, firmata La Befana, per fare uno scherzo ai suoi amichetti, figli di Volumnia Roberti, signora intima di casa Leopardi. Grande modernità, grande senso dell’umorismo e straordinario uso della lingua, e anche già grande cultura e neppure così eccezionale all’epoca per un bambino istruito, benché suoni incredibile rispetto all’odierna strafottenza e all’ignoranza.
Una lettera come quella del piccolo Giacomo non solo non saprebbe scriverla un undicenne di oggi ma neppure, a guardare la televisione, saprebbe leggerla un universitario tra gli eletti a rappresentare gli altri, basta sentir parlare gli studenti che protestavano a Annozero, intervistati dalla «ragazza zero», dove tutto si chiama giustamente zero. Per non parlare dei modelli televisivi di successo tra i non impegnati: pupe e secchioni, amici aspiranti cantanti e ballerini, tronisti e rintronati rinchiusi in una casa, famosi e non famosi confinati in un’isola a esibire il proprio vuoto culturale, politico, mentale. Colpa della scuola? Ma nelle case degli italiani quanti libri ci sono, e quanto si parla di libri, e quali? Voi bambini in ascolto: qual è l’ultimo libro letto da mamma e papà? Io che frequento spesso il Bioparco di Roma, perché preferisco stare zitto con gli scimpanzé che parlare con gli umani, talvolta, per sbaglio, incappo nelle famiglie italiane in gita e per esempio sento chiamare gorilla gli scimpanzé e scimpanzé gli orango, padri e madri umani che dovrebbero insegnare qualcosa ai piccini e non sanno neppure leggere una didascalia, ignorando di essere solo un’altra specie di primati dall’altra parte del vetro, senza dubbio dalla parte sbagliata.
E allora, sarà perché i cinquantenni e sessantenni di oggi sono i figli imborghesiti del Sessantotto, quando studiare era considerata un’attività reazionaria? Si attende risposta di intellettuale italiano, di destra o di sinistra, con una qualche soluzione in tasca, ma anche, viceversa, non aspettiamoci niente, soprattutto non aspettiamoci uno stile, non conta più neppure quello. Non quanto contava, per un bambino, un anno prima della lettera della befana, il 26 marzo del 1809, perché lì si ritrova nell’epistolario leopardiano un’altra missiva, stavolta destinata alla madre, dove il piccolo Giacomo si scusa per un breve componimento in latino dedicato al padre, aspettandosi «una critica inevitabile», perché «questa composizione, mi par di sentire, è troppo breve, ed in qualche luogo lo stile è basso. Io non so che rispondere a questa critica, ma la prego di considerare la scarsezza del mio ingegno e a credermi».
Che dire? Buona Befana a tutti voi, e speriamo che codesti figlioli «sieno buoni ma ditegli che se sentirò cattive relazioni di loro, quest’altro Anno gli porterò un po’ di Merda». E attenzione, il monito vale anche per gli allegri genitori senza libri (anche se temo che, fra grandi e piccini del 2011, troppa ce ne vorrebbe), e in ogni caso «frattanto state allegri, e andate tutti dove io vi mando, e restateci finché non torno ghiotti, indiscreti, somari scrocconi dal primo fino all’ultimo», e soprattutto cercate di prendere il corno lungo, almeno quello.

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State allegri e andate tutti dove vi mando
La lettera sulla Befana che Giacomo Leopardi in­viò a un’amica di famiglia all’età di 11 an­ni

Recanati, 6 gennaio 1810
Carissima Signora, Giacché mi trovo in viaggio volevo fare una visita a Voi e a tutti li Signori Ragazzi della Vostra Conversazione, ma la Neve mi ha rotto le Tappe e non mi posso trattenere. Ho pensato dunque di fer­marmi un momento per fare la Piscia nel vo­stro Portone, e poi tirare avanti il mio viag­gio. Bensì vi mando certe bagatelle per code­sti figlioli, acciochè siano buoni ma ditegli che se sentirò cattive relazioni di loro, que­st’altro Anno gli porterò un po’ di Merda. Veramente io voleva destinare a ognuno il suo regalo, per esempio a chi un corno, a chi un altro, ma ho temuto di dimostrare parzia­­lità, e che quello il quale avesse li corni curti invidiasse li corni lunghi.
Ho pensato dun­que di rimettere le cose alla ventura, e farete così. Dentro l’anessa cartina trovarete tanti biglietti con altrettanti Numeri. Mettete tut­ti questi biglietti dentro un Orinale, e mi­schiateli bene bene con le vostre mani. Poi ognuno pigli il suo biglietto, e veda il suo nu­mero. Poi con l’anessa chiave aprite il Baul­le. Prima di tutto ci trovarete certa cosetta da godere in comune e credo che cotesti Si­gnori la gradiranno perché sono un branco di ghiotti. Poi ci trovarete tutti li corni segna­ti col rispettivo numero. Ognuno pigli il suo, e vada in pace. Chi non è contento del Cor­no che gli tocca, faccia a baratto con li Corni delli Compagni.
Se avvanza qualche corno, lo riprenderò al mio ritorno. Un altr’Anno poi si vedrà di far di meglio. Voi poi signora Carissima,avvertite in tut­to quest’anno di trattare bene cotesti signo­ri, non solo col Caffe che già si intende, ma ancora con Pasticci, Crostate, Cialde, Cial­doni, ed altri regali, e non siate stitica, e non vi fate pregare, perché chi vuole la conversa­zione deve allargare la mano, e se darete un Pasticcio per sera sarete meglio lodata, e la vostra Conversazione si chiamerà la Con­versazione del Pasticcio. Frattanto state alle­gri, e andate tutti dove io vi mando, e restate­ci finché non torno ghiotti, indiscreti, soma­ri scrocconi dal primo fino all’ultimo.
La Befana
«Il Giornale» del 6 gennaio 2011

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