22 gennaio 2011

Poesia del Novecento da rileggere: Sbarbaro, Campana, Rebora i moderni

di Alfonso Berardinelli
Che cosa sappiamo e pensiamo, ormai, del­la poesia italiana del Novecento? L’argo­mento non sembra suscitare interesse. I dibattiti, le polemiche, gli scontri degli anni Ses­santa e Settanta appartengono a un’epoca remo­ta. Oggi sarebbero inimmaginabili. Sperimenta­lismo, avanguardia, impegno, formalismo sono termini fuori corso. La lingua degli ideologi di al­lora (Fortini, Pasolini, Sanguineti) è quasi intra­ducibile. Nelle università sulla poesia non si fan­no corsi, non si danno tesi di laurea: quando av­viene, si tratta di eccezioni. È perfino raro che si organizzi un convegno sulla poesia contempora­nea.
Eppure qualcosa è avvenuto a Berlino per i­niziativa di Angelo Bolaffi, che dirige l’istitu­to italiano di cultura e si è impegnato in questi an­ni a spiegare ai tedeschi il Novecento italiano. Co­sì, alla fine, è arrivato il turno della poesia. A metà gennaio tre giorni di letture, conferenze, semina­ri sono stati dedicati alla nostra poesia dall’inizio del Novecento a oggi, con il coinvolgimento del­la Freie Universität e della Literaturwerkstatt. Par­tecipanti: Romano Luperini, Patrizia Cavalli, Giu­lio Ferroni, Antonella Anedda, Roberto Galaver­ni, Anna Maria Carpi, Patrizia Valduga, io stesso. Il laboratorio di traduzione è stato condotto da Theresia Prammer, Camilla Miglio e Piero Salabè.
I risultati? La poesia dell’intero Novecento an­drebbe riletta e anche sul presente non manca­no i disaccordi. Dell’ermetismo non si parla più. Ungaretti vale soprattutto per il suo primo libro. Luzi diventa interessante se letto accanto ai suoi coetanei Sereni, Caproni, Bertolucci: che secon­do alcuni superano i più giovani Pasolini e Zan­zotto. Il primato di Montale e Saba resta indi­scusso. Penna e Amelia Rosselli hanno influenzato più di ogni altro le giovani generazioni. Giovanni Giudici (vero erede di Gozzano e Saba) è quasi di­menticato. La neoavanguardia anni Sessanta è stata soprattutto una costruzione ideologica. Più che Marinetti (poeta-vate elettrizzato) i veri mo­derni sono stati Sbarbaro, Campana, Rebora. Quanto a me, ho definito il postmoderno «speri­mentalismo neoclassico».
«Avvenire» del 22 gennaio 2011

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