04 gennaio 2011

La Cgil insulta per nascondere che ha fallito

di Francesco Forte
Anche il contratto Fiat Auto per lo stabilimento di Pomigliano è stato firmato, con la solita assenza della Cgil. Il segretario della Fiom-Cgil è arrivato a sostenere che questo contratto, che comporta aumenti retributivi, è un attacco alla democrazia e ai diritti senza precedenti. L’accusa si estende anche a Cisl e Uil, colpevoli di avere sottoscritto i contratti di Mirafiori e Pomigliano. E, sorprendentemente (ma non poi tanto), Landini aggiunge che questo contratto è anche «un pugno in faccia alla Confindustria», che dunque dovrebbe solidarizzare con la Cgil e cantare «Bandiera rossa». Dietro Landini c’è Susanna Camusso, la nuova segretaria generale della Cgil, che ha anticipato con interviste le tesi di Landini: questi accordi sono autoritari e antidemocratici e anche «illiberali» (adesso le lezioni di liberalismo le impartisce la Cgil) e Cisl e Uil sono sindacati «aziendalisti», cioè proni ai voleri dell’azienda. Susanna Camusso, poi, si rivolge a un’altra donna importante, Emma Marcegaglia, capo della Confindustria, e chiede che si associ alla Cgil nel definire regole sulla rappresentanza sindacale, da presentare al governo, che dovrebbe tradurle in legge. Il che significa che, come nel diritto corporativo, le rappresentanze sindacali non sarebbero stabilite liberamente fra le parti, ma dallo Stato.
L’appello è al «comune interesse» a che la Cgil non sia esclusa dalla rappresentanza in fabbrica per l’applicazione dei contratti di lavoro, anche quando non li firma, come adesso. Una richiesta accompagnata, secondo lo stile irato, dall’annuncio dello sciopero generale. Un appello assurdo.
Fiat Auto non fa parte di Confindustria, dato che il contratto Mirafiori deroga al protocollo del 1993 di Confindustria con i sindacati, riguardante le Rsu, le Rappresentanze aziendali unitarie. Secondo tale protocollo un sindacato che riceve almeno il 5 per cento dei voti dagli addetti dell’azienda ha diritto di rappresentare i lavoratori in tutte le materie, compresi i contratti di lavoro aziendali a cui esso si oppone. Con quale titolo può Confindustria farsi promotrice di una legge che costringe Marchionne a mettere la Cgil fra i sindacati che hanno il compito di vigilare sui contratti di Mirafiori e Pomigliano, se Fiat Auto è rimasta fuori da Confindustria perché non vuole sottostare al capestro del protocollo del 1993, che essa ripudia? Dove va a finire la libertà delle imprese? Questa richiesta è assurda anche nel merito. Infatti la motivazione che induce la Cgil a protestare e a scioperare, arrivando a sostenere che la deroga ai principi del 1993 sulle Rsu è «fascista», è che essa è contraria allo statuto dei lavoratori. Ciò è falso. Prima del 1993 nelle aziende i lavoratori erano rappresentati dalle Rsa, le rappresentanze sindacali aziendali, costituite solo dai sindacati che avevano firmato i contratti. E lo statuto dei lavoratori c’era già dagli Anni ’70.
Se Cgil e Fiom non rappresentano il personale per i contratti che non firmano, possono comunque tutelare i lavoratori con riguardo ai diritti stabiliti dalle leggi, valevoli in generale. E non c’è niente di fascista nella tesi per cui solo le parti dei contratti hanno titolo per interpretarli ed esigere le contro prestazioni. È una norma generale del diritto delle società libere. Se mai è meritevole di essere chiamata fascista, in quanto neocorporativa, la regola sulle Rsu del 1993.
Fra le due donne, è sbucato il «terzo uomo», Pier Luigi Ceccanti, presidente di Federmeccanica, anche lui di Mantova, come la Marcegaglia, che prova «i dolori del giovane Werther» al sentire che nelle aziende si dovrebbe fare a meno della presenza Cgil. Teme che altre imprese e settori facciano accordi separati come quello di Marchionne, con le Rsa al posto delle Rsu, uscendo da Federmeccanica e quindi da Confindustria. Che, pertanto, prima o poi, dovrà dare disdetta al protocollo del ’93, che è oramai un dente cariato. In questa circostanza sbaglia chi fa concessioni a quelli che si sono messi sistematicamente dalla parte del no e così si sono auto isolati e adesso minacciano la tempesta dello sciopero generale e di una legge liberticida. La retromarcia comporterebbe perdita di credibilità per chi ha fatto la scelta riformista. È necessario puntare sulla produttività e lo si sta facendo con accordi chiari basati su scelte innovatrici, che per la loro applicazione hanno bisogno di un clima sereno e leale. Se la Cgil non riesce a darsi una calmata e a firmare i nuovi contratti nazionali e aziendali, è bene che se ne stia fuori a custodire il passato. Possibilmente senza insultare gli altri.
«Il Giornale» del 30 dicembre 2010

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