29 gennaio 2011

Internet e social network non sono né il bene né il male, ma il nuovo campo della battaglia per il potere

La rivolta in Egitto continua. ElBaradei: intifada fino alla caduta del regime
di Christian Rocca
Internet, cellulari e tlc in black out. Così il governo egiziano spegne la democrazia in rete
Nei paesi dove si discute di cose serie si è aperto un gran dibattito sul ruolo dei social network, da Facebook a Twitter, nelle recenti rivolte democratiche nelle società chiuse, nei regimi repressivi, nei paesi totalitari. Le cronache raccontano di manifestazioni in Iran, in Tunisia, in Egitto convocate via Twitter, di gruppi di dissidenza organizzati su Facebook, di un uso libertario di Internet dalla Cina al Medio Oriente. Il dibattito non è frivolo, ma riguarda la formulazione della politica estera dei grandi paesi occidentali.
Il segretario di stato americano Hillary Clinton si è impegnata a promuovere la libertà della rete ovunque nel mondo. La rivista Foreign Affairs, organo ufficiale dell'establishment americano di politica estera, ha aperto il suo ultimo fascicolo con un saggio di Clay Shirky, professore di new media alla New York University, intitolato "Il potere politico dei social media".
La tecnologia e internet in particolare sono diventati i fattori decisivi per la diffusione della libertà, secondo la tesi predominante del Dipartimento di stato e delle cancellerie occidentali. I messaggi sms, le email e i blog hanno agevolato le comunicazioni dei dissidenti, la diffusione della contro-informazione, le attività d'opposizione. Lo sostiene anche il direttore di Google ideas Jared Cohen, forte della sua esperienza di pianificazione politica al Dipartimento di stato prima con Condoleezza Rice e poi Hillary Clinton.
Ma non tutti sono della stessa idea. L'esperto di cose internettiane Evgeny Morozov, giornalista bielorusso di Foreign Policy e analista della New American Foundation, non ne è convinto. Sostiene anzi che questa visione catartica di internet sia un inganno, un'illusione, un'utopia cibernetica che semmai rischia di provocare l'effetto contrario e di consolidare le dittature. Sul tema Morozov ha scritto numerosi articoli, anche per questo giornale, e un libro appena uscito negli Stati Uniti dal titolo The Net Delusion – The dark side of internet freedom (Public Affairs).
La tesi di Morozov è che non c'è alcuna prova che le proteste di piazza a Teheran, a Tunisi e al Cairo non ci sarebbero state senza internet. Non c'è alcun automatismo, scrive, tra l'uso di una particolare tecnologia e la conquista di una maggiore sfera di libertà. Il determinismo tecnologico, secondo Morozov, è pericoloso perché porta i governi occidentali a sottovalutare le vere ragioni del cambiamento sociale e quindi ad adeguarsi all'illusoria equazione secondo cui basta più tecnologia per ottenere più democrazia. In realtà, scrive Morozov, internet e i social network sono usati ancora più efficacemente dai regimi dispotici per reprimere, censurare e sorvegliare.
Il pessimismo hi-tech di Morozov è molto efficace nel distruggere i luoghi comuni su internet, ma non va oltre il gigioneggiare intorno alla nuova e indissolubile fede cibernetica. Morozov non offre alternative. Nel suo ragionamento manca una parte propositiva. Non spiega, per esempio, come mai per fermare l'opposizione la prima mossa dei governi dispotici sia sempre quella di bloccare il sistema dei messaggi sms e di sospendere il servizio internet, come è successo in Egitto.
Il pensiero unico dell'intellettuale collettivo illude la comunità occidentale a credere che sia sufficiente firmare una petizione online, condividere su Facebook una campagna politica o retwittare un appello per provocare un cambiamento sociale dall'altra parte del mondo. Le riflessioni di Morozov sono condivise da Malcom Gladwell, il geniale autore del New Yorker, e sono affrontate nella recentissima raccolta di saggi curata dalla filosofa Martha Nussbaum. The offensive internet, tra le altre cose, indaga sulla fallacia dell'idea romantica di internet come zona di libertà.
Mettere in guardia sugli abusi, sulle perversioni e sulle manipolazioni delle rete è doveroso, così come è giusto segnalare quanto le nuove tecnologie abbiano raffinato le attività di censura, di sorveglianza e di propaganda dei regimi dispotici. Ma è altrettanto vero che la rete ha cambiato il paradigma della battaglia politica fornendo alle opposizioni di tutto il mondo un impareggiabile strumento di comunicazione per organizzarsi, informare e chiedere conto al potere delle sue scelte.
Morozov sostiene che questi siano retaggi da Guerra fredda, strumenti politici di un'altra era, categorie che non funzionano più nell'epoca dell'informazione. Promuovere la democrazia via internet, secondo Morozov, è un'illusione perché la rete non è il samiszdat del XXI secolo, non è la scorciatoia per la liberazione dei popoli. Sull'Herald Tribune, l'editorialista Roger Cohen sostiene invece che la libertà di connessione sia uno strumento liberatorio e nel caso specifico della Tunisia anche un dono divino per tutto il mondo arabo.
Le tesi opposte di Morozov e Cohen non convincono in pieno. Far circolare informazioni non è un'arma specifica contro il comunismo, semmai contro tutte le società totalitarie. Twitter e Facebook non sono strumenti a disposizione dei regimi o dei ribelli. Sono il luogo dove si combatte la nuova battaglia, il terreno dove si coltivano le nuove dinamiche di potere. Internet e i social network sono le fotocopiatrici Xerox inviate trent'anni fa oltre la Cortina di ferro e le frequenze radiofoniche di Radio Free Europe durante la guerra fredda. Allo stesso modo possono essere usati in modo pernicioso dagli oppressori, per reprimere la dissidenza con più efficacia. Da soli, però, non sono né il bene né il male. internet è il mezzo, non il messaggio.
«Il sole 24 Ore» del 29 gennaio 2011

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