22 gennaio 2011

Intellettuali? Ma no, popstar della cultura

Alessandro Trocino racconta la «resistibile ascesa» di sei guru mediatici. Da Saviano a Grillo a Camilleri: l'altra faccia del successo
di Pierluigi Battista
Un tempo era il maître à penser, oggi è la popstar della cultura. Per essere una popstar della cultura non c'è necessariamente bisogno di aver scritto, come Jean-Paul Sartre, voluminosi tomi di filosofia e atteggiarsi a monarca assoluto dei caffè del Quartiere Latino. Basta avere alle spalle un pamphlet, un virtuosismo musicale, un tratto stilistico molto riconoscibile. Occorre soprattutto stare bene in tv. Saper diventare un personaggio. La personificazione di un'immagine e di una tendenza. Bisogna essere, secondo Alessandro Trocino che ne descrive la «resistibile ascesa» in Popstar della cultura edito da Fazi, Roberto Saviano o Giovanni Allevi o Carlo Petrini o Beppe Grillo o Mauro Corona o Andrea Camilleri. I loro libri vendono tonnellate di copie. In televisione sbancano l'audience. Ogni loro apparizione è accompagnata da ovazioni. Chi li critica è bollato come un invidioso che non sa rassegnarsi al successo altrui. Secondo Trocino hanno in comune alcuni «peccati capitali»: «Inclinazione al conformismo, propensione all'emotività e al sentimentalismo, diffidenza per il razionalismo, ricorso al manicheismo». Hanno meriti e percorsi molto diversi. Saviano ha scritto uno straordinario libro di denuncia, Beppe Grillo no. Ma ambedue coltivano una medesima allergia alla critica. Per essere «popstar della cultura» bisogna essere un po' paranoici. Solo qualche volta, come è il caso di Saviano, la minaccia è reale. Trocino studia il modo con cui scrittori, musicisti, comici, montanari e militanti politici diventano guru culturali. Non ne ricava una ricetta, semplicemente perché la ricetta non esiste. Se esistesse, basterebbe conoscerne la formula per replicarla all' infinito. Ma se ne conoscono i singoli ingredienti. E le piccole imposture. Pochi sanno, per esempio che Grillo, oggi profeta incontrastato della Rete telematica che dovrebbe disarcionare i dinosauri dell'odiata politica, nel 2000, preso da un «luddismo forsennato», si scagliava contro le nuove tecnologie e «distruggeva in scena a colpi d'ascia un computer urlando "Ti odio!"». O che Giovanni Allevi abbia prestato diuturna attenzione al «volume dei ricci», per incrementarne la resa attraverso il massiccio uso di «balsamo Hydra Ricci della Garnier». Ecco la spregiudicatezza di Carlo Petrini detto Carlin, che ha fatto di Slow Food un marchio di culto. Di un militante della sinistra che, con il recupero mistico del «prodotto tipico», con l'appello nazional-bucolico alla terra, ha prodotto uno straordinario sodalizio tra la «sinistra gourmet» e il leghismo agricolo. Geniale la costruzione del «simulacro confortante e profumato della campagna». O la contrapposizione popolare e populista (pop, insomma) tra la «sapienza contadina» e la scienza. Del resto, Petrini ha successo perché realizza un ibrido ideologico molto trasversale. «Ci sono alcuni tratti dell'ideologia petroniana che rientrano pienamente nella Weltanschauung del Carroccio», scrive Trocino che è un giornalista esperto di codici leghisti: «La salvaguardia delle tradizioni, l'impostazione nostalgica. La critica della globalizzazione, la difesa a oltranza di tutto ciò che è piccolo, il favore per le botteghe, gli artigiani e l'agricoltura deindustrializzata, il rifiuto dell'omologazione, dei centri commerciali, delle multinazionali». Di Mauro Corona, Trocino sottolinea i caratteri che ne hanno fatto un'icona: il «rude montanaro schivo e appartato» che scende «dalle montagne alla città per épater les bourgeois e rendere lividi di imbarazzo parrucconi e potenti dell'editoria». Ma che si trasforma, con il suo «piglio burbero», in un personaggio di colore, con «una bandana per amico» per diventare l'«emblema della vita bucolica e sana»: «Devi cambiare look. Ma come faccio? Se mi presentassi in giacca e cravatta la gente direbbe che sono impazzito o che mi sono imborghesito. Devo restare così anche per rispetto ai miei lettori». Popstar, con qualche tratto di ridicolo. Lo stesso per Allevi, strapazzato da Uto Ughi, ma sempre con quell'aria da «imbranato», «brutto anatroccolo» tutto «genio e sregolatezza» che si sente «un genio della musica, un artista superiore, un pianista idolatrato da chi ha la giusta sensibilità e criticato da un manipolo di vecchi barbogi». Modelli che funzionano. Come quello del loro capostipite: Roberto Saviano. Di cui l' autore sottolinea lo spavaldo e ammirevole coraggio quando, il 23 settembre del 2006, ad appena 27 anni, l'autore di Gomorra nella piazza di Castel di Principe sfidò i boss dei clan dei Casalesi «chiamati per cognome, uno per uno, di fronte a un pubblico nel quale non mancano i camorristi e i loro familiari». Un gesto che perdona tutto, anche la «monumentalizzazione» e la «santificazione mediatica» di cui Saviano sarà gratificato. Una storia a parte, anche rispetto alle altre popstar della cultura.

Alessandro Trocino, «Popstar della cultura», Fazi editore, pagine 208, 18 €
«Corriere della Sera» del 19 gennaio 2011

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