12 gennaio 2011

Il merito non sale in cattedra

di Andrea Ichino
Sono poche le scuole che hanno accettato di ospitare le due sperimentazioni ministeriali finalizzate a disegnare un sistema di valutazione e di riconoscimento del merito nel mondo dell'istruzione. Eppure, numerose indagini dicono che almeno due insegnanti su tre vorrebbero essere valutati e vedere riconosciuti i meriti individuali. Il ministero si era proposto di sperimentare da un lato un sistema di valutazione delle scuole basato sulla misurazione dell'incremento dei livelli di apprendimento a parità di contesto e su indicatori qualitativi forniti da valutatori esterni.
Dall'altro di avviare un sistema di valutazione dei singoli insegnanti che, attraverso una commissione interna di "pari", consentisse di premiare quelli la cui buona reputazione fosse comprovata e indiscussa anche tra le famiglie. È soprattutto contro quest'ultimo dei due progetti ministeriali che si è manifestata un'opposizione plateale da parte degli insegnanti interessati.
Come membro del comitato tecnico scientifico che ha ideato queste sperimentazioni mi sto chiedendo perché esse incontrino così tanta freddezza non solo tra i sindacati, ma anche tra i singoli docenti meno schierati.
Chiunque voglia affrontare con onestà questo problema sa che le difficoltà sono enormi e nessuna soluzione è a priori esente da critiche. Proprio per questo la strada di una sperimentazione su piccola scala che aiuti a distinguere ciò che forse può funzionare da ciò che invece appare destinato a fallire, sembrerebbe una strada alla quale nessuno dovrebbe opporsi: né coloro che vedono con favore la procedura da sperimentare, e per questo cercano conferme, né coloro che la ritengono dannosa e proprio nell'esperimento possono trovare la dimostrazione di quanto giuste siano le loro convinzioni. Sarebbe una strada che una volta tanto ci metterebbe in linea con le più avanzate esperienze internazionali, come illustrato dall'Economist del 6 gennaio.
Accade invece che chiunque veda in queste sperimentazioni un singolo aspetto che non corrisponde alle sue convinzioni a priori conclude che il progetto vada rifiutato per intero. Così, ad esempio, chi ritiene che la valutazione degli insegnanti possa solo basarsi su parametri oggettivi, boccia tutto perché una delle due sperimentazioni studia proprio se sia possibile identificare quell'imponderabile complesso di caratteristiche che fa la reputazione del "buon maestro". Dimentica però che l'altra sperimentazione si basa invece sui parametri quantitativi costruiti dall'Invalsi per misurare in modo oggettivo, a livello di scuola, gli incrementi di apprendimento a parità di contesto dove questo è possibile (attualmente solo nelle medie inferiori per matematica e italiano).
Viceversa, proprio l'uso dei test Invalsi è ragione sufficiente per buttare tutto a mare da parte di chi è convinto che essi non possano cogliere interamente ciò che una scuola può dare ai suoi studenti. Pochi si fermano a riflettere sul fatto che è il "complesso" delle due sperimentazioni ad offrire la possibilità di capire, laicamente e con gli strumenti disponibili, quale di queste strade funzioni meglio.
Quanto ai valutatori, c'è chi lamenta l'uso d'ispettori esterni per le scuole (chi sono? chi li sceglie?), ma non per questo approva il tentativo di verificare come invece funzionerebbe una commissione interna, nella sperimentazione che si propone d'identificare gli insegnanti di buona e comprovata reputazione. Oppure vorrebbero vedere burocraticamente dettagliati i criteri usati da chi deve valutare gli insegnanti - non rendendosi conto che una delle due sperimentazioni fa questo - nelle griglie che verranno utilizzate dagli ispettori esterni, mentre l'altra lascia liberi "i pari" di definire, entro binari ampi, i parametri da prendere o non prendere in considerazione.
Altro oggetto di forte opposizione è l'idea di premiare, anche solo sperimentalmente, singoli insegnanti perché questo minerebbe la cooperazione tra i docenti di una scuola, che invece devono lavorare in squadra. Ma chi così obietta, trascura che, nell'altro progetto, le scuole valutate come migliori riceveranno un finanziamento premiale che potrà essere distribuito liberamente al loro interno, anche a pioggia, proprio per vedere se l'effetto team funziona. Contro la distribuzione a pioggia si schierano invece quelli che vedono solo una soluzione basata su percorsi differenziati di carriera, senza però spiegare come dovrebbero essere selezionate le persone da promuovere. E senza nemmeno notare che la sperimentazione sui singoli insegnanti potrebbe in futuro suggerire un metodo condiviso per capire chi maggiormente meriti ruoli di leadership.
Io per primo, come tutti, ho delle idee a priori su quali di queste diverse soluzioni possa funzionare meglio, ma non me la sentirei di mettere la mano sul fuoco in difesa dell'una o dell'altra: vorrei semplicemente vedere come funzionano nel concreto di una scuola e faccio davvero fatica a capire perché questo desiderio di "comprendere sperimentalmente" non debba essere da tutti condiviso indipendentemente dalle proprie convinzioni. Capisco chi vorrebbe la perfezione qui e subito, ma non è nelle possibilità umane soprattutto perché non siamo tutti d'accordo su come sia fatta.
C'è chi dice che i due terzi d'insegnanti che affermano di voler essere valutati sono in malafede perché in realtà, alla resa dei conti, non lo vogliono affatto. Io non ci credo. Penso invece che gli insegnanti non abbiano avuto modo di capire quali opportunità queste sperimentazioni possono offrire, in primo luogo per difetto di chiarezza di chi, come me, le ha proposte.
«Il Sole 24 Ore» del 12 gennaio 2011

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